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JESI Carla Saveri, quando il ricamo è arte

Talento che l’ha portata a lavorare per Soprani, Versace, Valentino, Genny e, ultimamente, per il ripristino di un capo che fu di Maria Montessori esposto alla casa museo di Chiaravalle

JESI, 26 dicembre 2021 – Tanti anni fa… insomma ancora non eravamo nell’Euro, si cominciava appena a parlare di Unità europea, la Brexit era di là da venire, il 2000 non era ancora alle viste, beh, in quel periodo scrissi il mio primo articolo su Carla Saveri.

Una donna, oggi, allora signorina, che mostrava, in quello che realizzava e che aveva in mente di fare – come solo chi ha talento in certe cose può creare al meglio – capacità interessanti.

Tutto ebbe inizio con un articolo che uscì sul Corriere Adriatico, nel quale parlavo di una ragazza che stava facendosi strada fra le firme dell’alta moda, partendo dalle sfilate a Trinità dei Monti.

Jesina, ha sempre creduto che il ricamo fosse (e sia, per carità) una forma d’arte forse relegata in una nicchia in cui soltanto gli sguardi esperti possono frugare per capire la genesi di quei fili che si attorcigliano come tentacoli sparati verso l’infinito profondo ma che, alla fine, et voilà, raggiungono lo scopo di incontrarsi insieme e creare un pezzo unico. Come un quadro. Come una scultura. Mi diceva allora, Carla, che aveva cominciato a ricamare appena terminata la scuola, per parenti e amici, così, senza voler mirare a chissà cosa.

Ma si sa, le Case di moda hanno osservatori sul campo, come le società sportive, dappertutto, così alcuni si fiondarono su Carla e le commissionarono lavori che avrebbero accompagnato, onorato, reso preziose le loro creature, gli abiti.

Da Luciano Soprani, dalle sue sfilate, poi Valentino, Versace, Genny, i suoi foulard, pezzi unici disegnati a mano uno per uno. Futuro radioso in  vista? Sì, e vedi un po’, però ha deciso altrimenti, ha voluto creare e ha messo la sua saggezza artistica nel costruire una straordinaria famiglia. Questo l’antefatto, per ricordare che Carla Saveri non ha mai messo in un cassetto gli strumenti del suo trascorso talento che, uniti alla creatività e alla manualità, l’hanno rimessa in corsa. Magari non vedeva l’ora.

«Tutto è iniziato dalla mia amicizia con Cristiana Colli, curatrice del progetto di riqualificazione e dell’impianto culturale della Casa di Maria Montessori a Chiaravalle, una casa che la ricordasse, con gli stessi respiri, e la onorasse degnamente – racconta Carla Saveri – . Conosceva la mia ex professione, diciamo, l’attitudine legata al ricamo, al recupero di tutto ciò che è sartoriale, una mia artigianalità mai abbandonata. Mi ha fatto presente che aveva bisogno di recuperare uno degli elementi museali all’interno della casa natale della Montessori, un cappotto/vestaglia da camera, che la pronipote della grande pedagogista aveva intenzione di donare al Comune di Chiaravalle. Mi ha chiesto consiglio su come si potesse renderlo di nuovo integro, rispettando l’originalità del capo, ed io di fronte a questa opportunità, che mi stuzzicava perché risvegliava in me le antiche passioni legate al ricamo, mi sono resa disponibile all’intervento».

«Che è avvenuto su alcuni strappi, scuciture che comunque c’erano all’interno di un tessuto damascato, un abito molto vissuto. Mentre lo tenevo in mano per lavorarlo, ho respirato il profumo che emanavano gli oggetti intimi, personali di una delle donne più importanti del Novecento. Un capo di vita quotidiana, indossato giorno dopo giorno. L’ho riportato così a seconda vita, pur mantenendo integre le peculiarità originali, lasciando anche qualche filo tirato, magari, credo sia necessario mantenere sempre qualche ruga, rappresentano una vita vissuta che non può essere messa artificialmente in un cassetto».

«Accanto un bel sari indiano, ripristinato perfettamente, indossato durante la sua lunga permanenza in India, con la collaborazione di una signora dello Sri Lanka. Un bel percorso, mi ha fatto entrare nella vita della Montessori così, giorno dopo giorno. Ora nella casa si respira davvero un alone di presenza. Alla fine ho sentito dentro di me risvegliarsi l’ormai lontana professione di artigiano: quando si nasce artigiano, lo si resta per sempre. A me è rimasta la manualità artigianale artistica che avevo da piccola, il primo amore non si dimentica mai. Chissà dove mi avrebbe portato il ricamo. Non so, un’altra vita, ma mi è piaciuto accorgermi che il cuore di questa mia grande passione è rimasto sempre vivo».

Giovanni Filosa        

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