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Jesi Il discorso del sindaco Massimo Bacci per la ricorrenza del 25 aprile

Oggi è una intera comunità che si fonda su quei valori nati dalla Resistenza e trasfusi nella Costituzione

I passi del plotone risuonarono funesti, come rintocchi di campane tristi.

Una musica sorda alla compassione, mentre il portone di ferro si apriva.

L’ufficiale tedesco era entrato da solo. Un cenno con la mano e i cinque si erano alzati lentamente da terra ricomponendosi.

Eraclio aveva indossato la giacca e si era lisciato i capelli neri con la mano aperta.

L’aria tersa di quel mattino sembrava tirare a lucido i contorni delle cose. Arcevia era luminosa come una città celeste.

Il plotone precedeva i giovani partigiani. Per il pavé sconnesso della strada che portava fuori le mura e, solo per questo, Eraclio, ogni tanto, abbassava lo sguardo.

Il mondo era avvolto in un silenzio irreale.

Anziane minute con i fazzoletti neri in testa, seguivano con lo sguardo triste il corteo lungo la via. Donne diverse, ma sempre uguali, che si affacciavano per centinaia d’anni alle stesse finestre declinando i grani del Rosario nei giorni grevi della vita. Quel giorno pregavano per Eraclio. Erano gli occhi di sua madre… della sua famiglia.

Quando erano passati vicini, un segno della croce, lo sguardo al cielo, al Dio custode di ogni ricordo.

Le mura antiche, bordo del ripido colle dove si affacciava la città, era il confine di cinque giovani vite, limite estremo dal baratro della morte.

Eccoli per la stradina ai piedi delle mura di cinta.

Passati sotto l’icona della madonna, Eraclio l’aveva guardata cercando un ultimo fiato di forza. Pochi passi  ancora e tutto sarebbe finito.

Alt! Un gesto deciso e li avevano spinti con le spalle al muro, ma senza violenza.  Anche il boia sembrava rispettare la morte.

Da lì Eraclio dominava – di una primavera lontana dalle angosce – lo sguardo dell’intera vallata. Ne aveva  sostenuto lo splendore socchiudendo gli occhi.

Nello sfondo, riccioli bianchi e azzurro di mare. In quell’orizzonte non c’era presente né passato. Il tempo si condensava in una promessa di eterno futuro.

Vi aveva perso lo sguardo. L’ufficiale aveva un braccio alzato. Era così ridicolo, in una tale armonia. Un comando e le armi si erano caricate. E poi …Fuoco!

…Quando la luce si era spenta, quando i fili dei tendini si erano recisi, Eraclio non se ne era avveduto. In quello stesso istante, le sue mani protese, toccavano il mare.

Sentiva l’aria bagnare la pelle, la sabbia scivolare tra le dita.

Era caduto di lato, senza alcun rumore.

Sui campi di grano novello, si era addormentato.

Così, per sognare ancora…

Un sincero ringraziamento a Dante Ricci a cui abbiamo chiesto di aprire questa celebrazione leggendo la parte finale del bel libro di Vittorio Graziosi “Una vita per la libertà – Storia del Partigiano Eraclio Cappannini”.

E buongiorno a tutti voi, alle associazioni combattentistiche e d’arma, all’Anpi, alle autorità civili e militari, ai cittadini tutti.

Dopo due anni in cui la pandemia ci ha impedito incontri pubblici, torniamo a celebrare il 25 Aprile in presenza. Finalmente.

La festa della Liberazione, madre della nostra Costituzione. E la celebriamo oggi in maniera ancora più ricca di significato perché è in atto una guerra a due passi da noi che non può passare sotto silenzio in questa giornata dedicata alla memoria.

E anche perché – ed è il motivo per cui abbiamo iniziato parlando degli ultimi momenti di vita del partigiano Eraclio Cappannini –  c’è questo bel dono che ci ha fatto la famiglia, in particolare l’ultima sorella di Eraclio, Maria Luisa, che ha voluto lasciare al Comune di Jesi la lettera originale scritta da questo ragazzo poco più che ventenne prima della fucilazione, la medaglia d’argento al valor militare alla sua memoria assegnata e la divisa che indossava quel giorno, dove è ben visibile il foro del proiettile all’altezza del cuore.

Aver ricevuto questo dono ora, a conclusione dei 10 anni del mio mandato di Sindaco, lo considero personalmente uno straordinario privilegio.

Perché è una concreta testimonianza della gratitudine verso l’Amministrazione comunale e la comunità tutta per avere mantenuto vivo, in questi anni, il valore della memoria. Lo abbiamo fatto, nei primi anni, sostenendo la meritoria iniziativa di un insegnante, Claudio Sbaffi, con il progetto “La memoria va in bici” che ha visto coinvolti centinaia di giovanissimi studenti ripercorrere i luoghi dove si consumarono eccidi e violenze, con la speranza di non viverli mai più e con la consapevolezza che in quei luoghi era stata scritta una pagina di storia. La nostra storia.

“Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione – concludeva Piero Calamandrei il suo indimenticabile discorso sulla Costituzione ai giovani milanesi –  andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra Costituzione”.

E il tributo di Jesi e della Vallesina ci fa dire che la Costituzione si è plasmata anche in questa nostra terra.

“La memoria va in bici” ma non solo, in un percorso volto in questi anni a ricordare che questa festa appartiene alla comunità tutta.

Doveroso fare la netta distinzione tra le parti, tra chi guidava l’oppressione, chi commetteva inaudite violenze in nome della peggiore delle ideologie, e chi lottava per la libertà e la giustizia sociale, per chi sacrificava la propria vita ed i propri affetti in nome della patria. Doveroso, come doveroso è oggi considerare questa una festa di tutti, di una comunità coesa, solidale, che proprio in questi ultimi due anni, nel periodo peggiore della pandemia, ha dato prova di grande solidarietà, nel solco di una tradizione che vede Jesi presa a modello nelle Marche e in Italia per l’attenzione ai più fragili, agli anziani, alle persone con disabilità, alle famiglie in marginalità sociale ed economica, ai migranti con uno dei progetti di accoglienza oggi più grandi d’Italia.

Qui, in queste azioni concrete, è emerso in maniera chiara, limpida, inconfutabile, che quel messaggio di libertà e giustizia sociale per cui ragazzi come Eraclio Cappannini hanno dato la vita è stato raccolto. È stato un seme che ha dato i suoi frutti. Senza più distinzioni di sorta, perché oggi è una intera comunità che si fonda su quei valori nati dalla Resistenza e trasfusi nella Costituzione.

Per questo mi è parso del tutto naturale scrivere lo scorso ottobre al presidente del Consiglio Draghi per chiedere lo scioglimento di tutte le forze neofasciste oggi presenti. I fatti di Roma, l’attacco alla Cgil di allora, dimostrano come la democrazia non sia qualcosa di statico e di stabile, che si possa considerare raggiunta una volta per tutte. Come ricordava Aldo Moro, “il nostro antifascismo non è solo una nobilissima affermazione ideale, ma un indirizzo di vita, un principio di comportamenti coerenti”. E dunque continuo ad augurarmi che questo Governo superi l’inerzia costituzionale dei precedenti, dando seguito in maniera concreta a quanto i nostri padri costituenti scolpirono sulla nostra Carta fondamentale, e cioè il divieto di riorganizzazione, “sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”. 

E proprio nella convinzione dei valori nati dalla Resistenza e dalla Costituzione a cui facevo riferimento, che colgo l’occasione in questo mio ultimo intervento per la Festa della Liberazione di auspicare che in futuro non si ripeta l’imperdonabile errore dello scorso 20 giugno, quando a Montecappone si è gravemente tentato di dividere la città con un’iniziativa politica di parte, in spregio a quegli stessi valori per difendere i quali i 7 giovani martiri erano stati trucidati. Non vi deve essere più alcuna divisione in città sui valori costituzionali, peggio ancora se per interessi di bottega. Ognuno ha il diritto sacrosanto di rivendicare la propria storia, la propria appartenenza. Ma guai a confondere questa appartenenza per alimentare contrapposizioni tra cittadini, o peggio laceranti divisioni nella comunità.

Questa libertà, questo poter stare insieme e sentirci tutti parte di una stessa società, deve piuttosto emergere in maniera ancora più netta in questi giorni di guerra, in questi giorni dove un aggressore invade, tortura, sevizia, uccide. Dove c’è, dall’altra parte, un popolo che imbraccia le armi per difendersi, per proteggere le proprie famiglie, la propria comunità, per difendere la libertà. Come allora, durante la guerra di Liberazione, non ci potevano essere dubbi tra chi era in Italia dalla parte giusta e chi in quella totalmente sbagliata, così ora non possono esserci dubbi su chi sia l’aggressore e chi sia l’aggredito. E bene sta facendo il nostro Paese a individuare ogni strategia utile da un lato per colpire economicamente l’aggressore, dall’altro per aiutare a difendersi l’aggredito.

Al popolo ucraino oggi va il nostro pensiero, diventa esso l’attualità di questo giorno per noi così importante. Avendo ben nitide, anche con l’ausilio della televisione, le atrocità che vengono commesse. E immaginando che anche là, in qualche sperduto casolare trasformato in una tetra prigione, un giovane partigiano ucraino poco più che ventenne, catturato dai russi, ben sapendo a quale destino andrà incontro, invierà ai suoi familiari un messaggio che suona più o meno così:

La lettera di Eraclio Cappannini letta da Nico Aberici

Sono il giovane Cappannini Eraclio, prigioniero dei tedeschi. Nulla può salvarmi dalla fucilazione. Chi trova il presente è pregato di farlo avere alla mia famiglia, sfollata da Jesi a Serra de’ Conti presso il contadino Carbini. Cari genitori, parenti tutti: il mio ultimo pensiero sarà rivolto a voi ed alla mia, alla nostra cara Patria che tanti sacrifici chiede ai suoi figli. Non piangete per me, vi sarò sempre vicino, vi amerò sempre anche fuori del mondo terreno; voi sarete la mia sola consolazione. Siate forti come lo sono stato io. Salutatemi tutti i miei conoscenti. Vostro per l’eternità: Eraclio. Bacioni alla piccola Maria Grazia. Ringrazio perennemente il latore.

L’ultimo pensiero lasciatemelo dedicare a Daniela Cesarini, di cui oggi ricorre il nono anniversario della morte. Sono veramente contento che, prima di lasciare la mia carica di Sindaco, abbiamo concretizzato con i lavori che sono in fase di esecuzione il compito che ci aveva affidato tramite testamento: quello di realizzare una struttura per ospitare persone diversamente abili una volta che i familiari non fossero stati più in grado di assisterli

Massimo Bacci, sindaco di Jesi

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