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Cronaca

JESI ASSOLTI DALL’ACCUSA DI AVER COMMERCIALIZZATO UN FALSO “INFINITO” AUTOGRAFO DI GIACOMO LEOPARDI

Terzo manoscritto dell'Infinito di Giacomo Leopardi

Il proprietario del manoscritto difeso dall’avvocato jesino Marco Cercaci

JESI, 5 ottobre 2018 – Sono stati assoltiperchè il fatto non costituisce reato“, Luciano Innocenzi e Luca Pernici, accusati di avere detenuto un falso manoscritto autografo dell’Infinito di Leopardi (foto in primo piano) al fine di commercializzarlo.

E’ questa la sentenza emessa qualche giorno fa dal Tribunale di Macerata per Innocenzi, proprietario del manoscritto, difeso dall’avvocato jesino Marco Cercaci, e per Pernici direttore degli istituti culturali di Cingoli, difeso dall’avv. Nascimbeni di Macerata

L'avvocato jesino Marco Cercaci

L’avvocato jesino Marco Cercaci

«Sia Innocenzi che Pernici hanno agito in perfetta buona fede – dice l’avvocato Cercaci dal suo studio di corso Matteotti a Jesi – convinti di avere trovato il terzo autografo dell’Infinito, dopo quelli di Napoli e di Visso».
Luciano Innocenzi, professore in pensione, da almeno quindici anni era in possesso del manoscritto e molti tra i maggiori studiosi del grande poeta recanatese, tra cui il luminare Marcello Andria, avevano confermato che si trattava di un originale. L’università di Macerata aveva addirittura organizzato un convegno su quella che sembrava una sensazionale scoperta. Però Vanni Leopardi, erede del poeta, sosteneva il contrario e quando Innocenzi e Pernici, nel luglio del 2014, avevano deciso di metterlo in vendita tramite una nota casa d’aste romana, il documento era stato sequestrato da Carabinieri del Ntpc, Nucleo tutela patrimonio culturale. Un perito aveva certificato che si trattava di una stampa degli anni ’60-’70. Da allora per i due imputati sono iniziati 4 anni di tribolazioni e dolori.
«E’ giusto punire e colpire chi illecitamente commercia beni culturali falsi o rubati – sostiene l’avv. Marco Cercaci, anche nella sua veste di ispettore onorario del Ministero dei Beni Culturali – occorre però essere molto attenti nel valutare l’accadimento dei
fatti al fine di evitare che le persone, come nel caso di specie, possano trovarsi per anni colpevolizzati e additati ingiustamente come persone poco serie».
Fortunatamente, dopo le prime domande rivolte ai testimoni, il giudice ha riconosciuto immediatamente la mancanza del dolo e la perfetta buona fede degli imputati e per loro è stata la fine di un incubo.
Gianluca Fenucci
©RIPRODUZIONE RISERVATA

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