Segui QdM Notizie

Cronaca

Jesi Pronto soccorso, sai soltanto quando arrivi…

Ore di attesa per mancanza di barelle, accessi impropri, operatori sanitari chiamati a far fronte a ogni tipo di situazioni, Pasquale Liguori, coordinatore Tribunale del Malato: «Da anni sempre le stesse criticità»

Jesi – «Credo che ognuno di noi abbia diritto a una degna assistenza». Così ha esordito una malcapitata donna che nella serata di martedì è dovuta ricorrere al pronto soccorso dell’ospedale “Carlo Urbani” per il padre 86enne riscontrando una situazione al limite.

Parole di comprensione per gli operatori sanitari, che fanno del loro meglio con il poco che hanno a disposizione.

Alle 21 di martedì, dunque, la donna e il padre hanno raggiunto il pronto soccorso, da un paese della Vallesina, con una ambulanza, dopo aver chiamato il 118 su consiglio del proprio medico.

«A dirla tutta avevo pensato di recarmi direttamente al pronto soccorso di Fabriano perché da esperienze precedenti immaginavo che sarebbe stata un’avventura recarsi a Jesi», ha raccontato.

«Mio padre era reduce da un virus intestinale e in serata mia madre, preoccupata, mi aveva telefonato dicendomi che, da un controllo, la pressione era molto bassa: 80 la massima e 50 la minima. Subito mi sono allarmata vista l’età: anche se è un uomo forte, mio padre aveva paura di andare in ospedale. E forse aveva ragione in questo caso».

«Una situazione, una volta giunti, che non saprei come descrivere. Nella sala d’aspetto regnava una calma apparente, nonostante ci fossero persone che aspettavano dalle 8 del mattino, rassegnate – ha raccontato ancora la donna -. Diversa sembrava la situazione all’interno, da dove si sentiva, ad esempio, un paziente disperato, che continuava a chiamare la dottoressa, urlando «vi denuncio per sequestro di persona, è dalle 6.30 che sono qua, voglio andare a casa».

«Un’atmosfera poco rassicurante, confermata dalle parole di un infermiere che al momento del cambio turno ha accolto il collega con un eloquente “benvenuto all’inferno”!».

«La cosa più grave – ha aggiunto – è il fatto che mio padre non potesse essere preso in carico perché non c’era una barella disponibile. Le ambulanze erano ferme al pronto soccorso (foto in primo piano), in attesa di trovare una barella su cui trasferirlo. Credo che più di qualcosa proprio non funzioni. Scambiando due chiacchiere con un uomo che era lì dalle 8 del mattino, ho saputo da lui come, invece, in mattinata fosse ricorso al reparto pediatria con la figlia dove aveva trovato, al contrario, una situazione d’eccellenza, quasi come in una struttura privata, notando però tante barelle non in uso lungo le corsie».

«Alla fine si sono fatte le 23, l’operatore mi ha detto che per le analisi e la visita i tempi di attesa sarebbero stati di 8 ore, aggiungendo che c’erano 60 pazienti con varie patologie, tra cui la meningite. Abbiamo deciso, in accordo con mia sorella, di riportare a casa nostro padre».

«Mi chiedo in che mani siamo finiti, questa è la Sanità per cui paghiamo? Andrà tutto bene si diceva qualche tempo fa… ma quanto dobbiamo aspettare ancora?».

«Il giorno dopo ho deciso di rivolgermi al dott. Pasquale Liguori, coordinatore del Tribunale del Malato, che mi ha illustrato come da anni si evidenziano le stesse criticità: per circa il 65-70%, gli accessi sono impropri, si tratta cioè di codici che potrebbero essere gestiti dai medici di base senza far ricorso all’emergenza. La medicina territoriale si deve far carico di questi pazienti, che non devono arrivare al pronto soccorso. In effetti, quella sera il tabellone segnava un solo codice rosso».

«Inoltre, i pazienti gravi che hanno l’esigenza di andare al pronto soccorso devono anche avere la possibilità di accedere nei reparti, e qui, secondo Liguori, nasce un altro problema: i posti sono stati ridotti e questo crea caos al pronto soccorso. Io, però, mi domando: come può un medico di base riuscire a visitare tutte le case? Già trovarne uno per mia madre, che abita in un piccolo paese, è stata un’impresa. Se devono coprire tre o quattro paesi, come fanno?».

«Gli operatori sanitari al pronto soccorso vivono secondo me situazioni di forte stress e sono fin troppo gentili. Fanno quello che possono con i pochi mezzi che hanno a disposizione. Inoltre, mi domando: tre ambulanze ferme per almeno tre ore causa mancanza di barelle al pronto soccorso non creano una situazione di rischio per chi potrebbe in quel momento avere davvero bisogno di essere assistito?».

«Quante notti d’inferno dovranno passare prima che la situazione cambi? O dobbiamo rassegnarci e pregare di non dover ricorrere al pronto soccorso?».

«Credo che chi governa la nostra sanità debba prendere in una mano questa situazione e l’altra mano mettersela sulla coscienza. I cittadini hanno il diritto di essere curati, perchè mentre dall’alto si rimpallano le responsabilità, a rischio c’è la nostra salute».

(foto in primo piano: le ambulanze per ore in attesa al pronto soccorso)

© riproduzione riservata

News