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Jesi “Tulipano rosso sangue”, sofferenza e martirio delle donne iraniane

Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, a Palazzo Pianetti con canti, letture e la mostra di Anahita H. Dowlatabadi

Jesi – Bellissima serata, venerdì, inserita nel cartellone delle iniziative promosse e patrocinate dal Comune per la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, a Palazzo Pianetti.

Uno spettacolo coinvolgente, intitolato “Tulipano rosso sangue”, che non ho potuto seguire direttamente ma soltanto partecipando alle prove del pomeriggio. Non è lo stesso ma la tensione delle prove è sempre palpabile.

Troppi eventi, ovviamente importanti tutti quanti in giornate come questa, ma inseriti in contemporanea. Ha portato il saluto dell’Amministrazione comunale  l’assessore alla cultura Luca Brecciaroli, ha presenziato l’assessora Paola Lenti. Uno spettacolo pieno di emozioni che ha coinvolto empaticamente il numeroso pubblico, che ha applaudito la potente voce di Anahita H. Dowlatabadi, e la musica trascinante del violino di Serena Cavalletti e della chitarra di Marco Monina.

Anahita ha ripercorso la storia dell’emancipazione della donna in Persia con testi e musiche antiche fino a giungere ai giorni nostri, proponendo due canzoni che sono diventate gli inni della protesta delle donne e dei giovani iraniani contro il regime: Baraye (per ballare per le strade, per baciare i propri cari, per la donna, la vita, la libertà) e Bella Ciao, in persiano, cantata in memoria di  Mahsa Amini.

Dopo lo spettacolo, la critica d’arte Valeria Carnevali di Fabriano che ha curato la mostra di Anahita, introducendo il pubblico alla visita e ripercorrendo con le immagini i racconti e le musiche dello spettacolo. La mostra è aperta al pubblico dal 24 al 30 novembre a Palazzo Pianetti. Ho raccolto le voci di chi ha partecipato e organizzato l’evento.

Rosalba Cesini, presidente Anpi Jesi, ci ha dichiarato: «Bellissimo evento, ideato, curato e interpretato da Anahita Downlatabadi. Splendida voce che ci ha straziato il cuore facendoci conoscere i canti tradizionali e moderni che narrano la sofferenza e il martirio delle donne di un Iran in cui il patriarcato si è fatto Stato. Donne che oggi, rischiando la propria vita, sono la speranza di cambiamento, là come in tanti altri Paesi, donne che rappresentano il lievito di una “rivoluzione culturale” per conquistare la signoria sul proprio corpo. Rivoluzione, sì. Non è un caso che le donne iraniane, mentre manifestavano in piazza lo scorso anno dopo l’uccisione di Masha Amini, cantassero: 

“La notte è passata, un nuovo giorno è iniziato/ Usciamo, nella città dipinta con il sangue/ Chissà se riusciremo a tornare a casa?/Forse non vedremo un’altra mattina/ Un’altra mattina e un’altra notte/ Cantare per la libertà dalla tirannia e dall’oppressione/ Una volta per tutte vinceremo in una guerra ingiusta”.

«Questo inno alla lotta delle donne iraniane era ed è cantato sulle note di “Bella ciao”, la stessa musica che, per la prima volta, è risuonata sulle pendici del San Vicino, intonata dai partigiani e dalle partigiane della Brigata Garibaldi che combattevano per liberarsi dal giogo nazifascista e per la dignità propria e dell’intero popolo italiano».

«Perché non cada mai il silenzio sulle donne che si battono per la propria autodeterminazione, insieme, uomini e donne, facciamo sentire alto il nostro grido di lotta e di speranza: jin, jiyan, azadî – donna, vita, libertà!». 

Anahita H. Dowlatabadi era felicissima: «La ragguardevole partecipazione mi ha permesso di esprimermi al meglio, ma soltanto grazie alla esecuzione musicale di due maestri (Serena Cavalletti e Marco Monina) e la straordinaria empatia con il pubblico è stato possibile un tentativo di diffusione del messaggio pur sempre tragico. A monte di tutto vi è stata la preziosissima sollecitazione affettuosa di Simona Cardinali che mi ha incoraggiata in questo evento collegandolo alla mostra curata da una critica d’arte, ormai consumata, quale Valeria Carnevali. Ne è scaturito un risultato ad effetto, emozionante e avvincente».

«La musica è quella magica forma d’arte che consente la trasmissione del messaggio giusto e ciò che la gente mi ha riportato è stata la riconferma di quello che ho compreso da me. Inoltre, tutte le associazioni che si sono unite per aiutarmi nella diffusione di tale messaggio sono diventate esse stesse parte integrante dello stesso, ossia, che è l’unione a dare forza. Come portavoce di un Popolo il cui motto è “Donna, Vita, Libertà” dobbiamo vedere senza veli che l’attuazione autentica di questo motto condurrebbe a un’immediata risoluzione dei principali disagi della civiltà odierna, originatisi appunto dai fenomeni antropici del maschilismo, della guerra e della repressione». 

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