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SENIGALLIA L’ESODO E LE FOIBE RACCONTATE DA SIMONE CRISTICCHI

“Costretti a partire perché non si può vivere senza essere italiani”

 

SENIGALLIA, 20 febbraio 2019 – Un teatro gremito quello che ha accolto martedì sera Simone Cristicchi, che ha raccontato in poco meno di due ore il dramma di una popolazione per tanti, troppi anni ai margini della storia italiana ed internazionale.

“Pensate a casa vostra, al quartiere dove siete nati e cresciuti. Pensate alla vostra città e ricordatene il colore, i suoni e gli odori. Quella è la vostra terra, perché ne avete imparato il dialetto, i modi di vivere e tutte le tradizioni”.

Perdere tutto per scappare da una realtà ostile

Una storia che ha accomunato centinaia di migliaia di persone (350.000 circa) strappate da una terra che chiamavano “casa”, racconto drammatico ed emozionato, che ha mostrato le contraddizioni di una terra che sin dal giorno dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 precipitò nel caos. Il racconto delle migliaia di italiani gettati nelle foibe e miniere di bauxite, trasformate in tombe per chi innocente pagava colpe non sue, annodato con filo spinato e spinto a forza nelle crepe carsiche.

Tutto questo è accaduto a Fiume, Pola, Parenzo, Lussino, Zara, Capodistria. Una intera regione che ha visto centinaia di migliaia di famiglie italiane partire da un terra abitata da generazioni, terra di confine, da sempre multietnica ed aperta a tante culture.

Una storia raccontata da Cristicchi senza sovrastrutture, con musica e parole, partendo dal Magazzino 18 del porto vecchio di Trieste, luogo dove venivano conservate le povere cose degli esuli. Sedie, giocattoli e foto mangiate dalla polvere e dalla solitudine di chi non troverà mai più un nome nella memoria.

Ma la storia non è mai semplice da raccontare, perché prima che tutto precipitasse, il trattato di Rapallo del 1920, la costituzione dello Stato libero di Fiume (poi annesso all’Italia nel 1924 con il trattato di Roma, ma prima ancora l’impresa di D’Annunzio, la reggenza del Carnaro ed in seguito del trattato ligure ed il Natale di sangue dello stesso anno per liberare la città sull’Eneo dai legionari dannunziani) e poi l’avvento del fascismo a “Sfaldare il delicato equilibrio etnico”. Lò’italianizzazione forzata, le violenze nei confronti degli slavi residenti, i campi di prigionia con migliaia di morti e poi la seconda guerra mondiale con la guerra di annessione dei territori poi diventati jugoslavi.

Poi la lotta di liberazione per estirpare i nazifascisti da quelle terre negli ultimi anni della seconda guerra mondiali, ma nella mente del maresciallo Tito e dei suoi partigiani un “sogno” diverso, quello di quei territori senza più italiani ed un confine da portare fino al fiume Isonzo.  E poi le pressioni, le violenze (anche in tempo di pace, tra i tanti anche il caso dell’eccidio del 1946 a Vergarolla, spiaggia di Pola) nei confronti di chi pagava colpe non sue, solo quella di essere italiano. A pagare anche partigiani, carabinieri, medici, insegnanti. Gente comune.

La parola “fine” il 10 febbraio 1947, con la firma del trattato di pace a consegnare Fiume, l’Istria e la Dalmazia al maresciallo Tito. “Risarcimento di guerra”, con gli esuli nei campi profughi per anni su suolo italiano e dispersi in tante terre, anche all’estero. Fino all’istituzione del Giorno del Ricordo nel 2004.

Oggi

Lo spettacolo di sabato è stato promosso dal consiglio regionale delle Marche per le celebrazioni del Giorno del Ricordo con la collaborazione di Amat, Compagnia della Rancia, MiBact e regione Marche.

Nella giornata di ieri, il cantautore è stato intervistato da Gilberto Santini Direttore dell’Amat in Consiglio Regionale, per non perdere le radici della memoria.

Il canto d’addio

“Fermati un momentino, soltanto un momento. Sopra le tombe del vecchio cimitero e digli ai morti, digli ti prego che no dimentighemo”.

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