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Cronaca

JESI Il racconto dei profughi: «Vogliamo tornare ma non sarà più la stessa cosa»

La guerra in Ucraina: tante donne e bambini hanno raccolto l’invito della Casa delle Culture: un pomeriggio per conoscersi e sostenersi

JESI, 27 marzo 2022Oksana è una pediatra, Natalia è giornalista, caporedattrice di un canale di Stato ucraino.

Con loro alla Casa delle Culture c’erano tantissime altre donne, con i loro figli e nipoti in occasione dell’incontro organizzato dall’associazione.

Si sono conosciute, hanno condiviso timori, speranze, racconti: tante le volontarie che hanno abbattuto la barriera linguistica, che hanno preso numeri di telefono, registrato richieste, promesso che una soluzione, insieme, si trova.

Oksana è venuta in Italia dopo un viaggio un pullman di 36 ore, con i suoi tre figli e un nipote. La sua mamma è rimasta nel Paese per lavoro. Hanno raggiunto Olga, la mamma di Oksana, che qui a Jesi fa la badante.

«Vengono da Ternopil, la città non è stata bombardata ma la minaccia della bomba nucleare ci ha spinto a lasciare il Paese», raccontano.

Sono state accolte dalla Caritas. Il volto di Olga è rigato dalle lacrime.

«I bambini qui stanno bene, uno di loro gioca a calcio: la sua passione. Da questa settimana la scuola è ricominciata, stanno seguendo in Dad. Ora sorridono ma quanto piangevano quando sono arrivati».

E’ stata Olga a fornire internet alla famiglia di sua figlia, che sta in una casa privata: al centro Tim di viale don Minzoni glielo hanno regalato. Il marito di Oksana è nella difesa territoriale.

«Mio genero – dice Olga – è andato in guerra due settimane fa. Ha rischiato la vita ora è nascosto. Gli ucraini pensano di vincere la guerra. I russi? C’è chi non la vuole ma c’è anche chi sostiene il presidente».

Alina invece ha trovato una casa a Belvedere Ostrense, è con i figli di 15 e 17 anni, il più grande non ha intenzione di rientrare in Patria: «Vorrebbe stare qui e io cerco lavoro», spiega.

La necessità di vedersi, di parlare è così forte che sabato prossimo si vedranno nuovamente.

«Il fatto che abbiano una casa è molto, ma non è tutto. Dopo l’accoglienza serve altro e su questo stiamo lavorando – spiegano le volontarie –. Il fatto che siano sparpagliate sul territorio complica le cose perché non hanno la macchina e non possono spostarsi».

Natalia lavora per una Tv di Stato, un canale del Parlamento. E’ arrivata a Cupra Montana con i figli di 12 e 11 anni.

«Vengo da Kiev: sono abituata a una città viva e piena di gente. L’ho lasciata irriconoscibile: deserta, completamente. All’inizio sono stata volontaria per portare i pasti, per dare aiuto a chi era nei rifugi. Poi ho visto i bombardamenti e ho pensato che dovevo mettere al sicuro i miei figli. Ho lasciato mio marito e mia madre».

Fino a  quando è rimasta in Ucraina «ho pensato che la guerra sarebbe finita presto. Ora? Non so. L’esercito ucraino è determinato ed è organizzata una difesa territoriale in cui ci sono anche donne. Non ho mai visto il nostro popolo così compatto. C’è una grande rabbia. Noi vogliamo la strada per l’Europa: stiamo lottando per questo, ogni soldato lo fa, perché questo è ciò che abbiamo scelto».

Il futuro non si progetta più.

«Mio figlio aveva un campionato di scherma questi giorni e mia figlia doveva fare un esame. Ora? E’ qui e ora, grazie a chi ci sta aiutando. Il mio pensiero va a tutti quei bambini che non sono riusciti a partire perché molte città sono sotto assedio. L’Ucraina sarà una Paese cambiato quando torneremo. Anche noi, non saremo più gli stessi».

Eleonora Dottori

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