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Cronaca

Jesi «Pregare per la pace ha senso se facciamo opere di pace»

Il messaggio di Natale del vescovo Gerardo: «Rifiutare la guerra è sincero se si ama la vita, sempre, dal suo concepimento, nel tempo in cui scorre, fino al suo passaggio nell’eternità»

Carissimi, ci ritroviamo per il consueto augurio di Buon Natale.

Consueto, ma non solito, banale, tanto per fare. Consueto, oramai atteso e soprattutto autentico. Ecco perché desidero che questi auguri abbiano sempre un contenuto importante. 

E allora cosa dobbiamo augurarci quest’anno? Che significato dare a questa espressione, “Buon Natale”?

Il vangelo di questa domenica, che coincide con la Vigilia di Natale, per la quarta volta in questo Avvento, ci presenta il racconto dell’Annunciazione.

E’ una Parola insistente, da prendere proprio sul serio. Ebbene, in pochi giorni ascoltiamo per la quarta volta l’arcangelo Gabriele rivolgersi a Maria con questo saluto: Rallegrati”.

Stare nella gioia e nella pace del cuore

Domenica scorsa San Paolo nella seconda lettura ci aveva esortati così: Siate sempre lieti (1Ts 5,16). In un tempo così difficile Dio fa irruzione con questo desiderio: portare comunque le sua gioia. Certo, una gioia così diversa da quella del mondo che è effimera, fugace, spesso falsa. Dio invece presenta la gioia che Egli sa dare come autentica Beatitudine, dal momento che può convivere con tutte le situazioni, anche le più difficili (cfr Mt 5,1-12).

Nel Vangelo di Giovanni, poi, Gesù nei Discorsi di Addio ripete: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace», (Gv 14,27). E anche qui Gesù parla anzitutto della pace che nasce nel cuore, di una letizia, pertanto. E aggiunge che questa gioia è possibile a una condizione: «Rimanete in me, rimanete nel mio amore, così la mia gioia sarà in voi e la vostra gioia sarà piena» (cfr Gv 15,9-11).

Ci fa bene questo annuncio di gioia, anche se ci sembra un annuncio lontano, impossibile. Oggi, infatti, sentiamo un peso terribile per tutto quello che si vive. Le assurde guerre che mietono migliaia di vite umane, violenze in ogni luogo, litigiosità a non finire, povertà che cresce, uomini in fuga dalla loro terra: sembra che quando il Signore ci parla di pace e di gioia ci stia ingannando.

Le guerre mettono alla prova la fede

Abbiamo pregato per la pace, il Papa parla continuamente di pace, invita alla pace e prega e fa pregare per la pace. Ma dove sono questi giorni così attesi e sperati?

Perché il Dio della pace, quel Dio che invita alla gioia, non fa qualcosa? Questa è la domanda di tanti: quasi una crisi di fede! Non posso darvi una risposta, non sono capace di entrare nella mente di Dio.

Non ho risposte da tirar fuori dal cassetto, ma una domanda, un’altra domanda ce l’ho, una domanda che devo proprio farmela: «Cosa devo fare io, cosa dobbiamo fare tutti noi nella speranza che Dio agisca? Qual è il mio passo per essere quel terreno buono su cui Dio possa seminare i suoi doni, la sua pace?».

Anzitutto pregare, chiedere. Lo facciamo già, ci viene da rispondere. Ma il nostro chiedere, il nostro pregare è autentico, è limpido? Certo che preghiamo perché finisca la guerra in Israele, e in Ucraina. Ma il motivo della nostra sofferenza che ci spinge a pregare qual è? Soffriamo perché si uccide, si muore e vengono falciate migliaia di vite innocenti, oppure perché ci disturba il rumore assordante delle armi e comunque ci sono risvolti economici anche per noi? 

Certo, la nostra risposta è immediata: rimaniamo inorriditi per l’assurda e inutile perdita delle vite umane… 

Ma è proprio vero? E allora perché nessuno soffriva e pregava per le guerre degli ultimi decenni in Africa che hanno causato milioni di vittime, forse 10, cioè un numero immensamente più grande dei morti delle guerre così vicine? Perchè quelle guerre non ci toccavano? Anzi, ci stanca chi da quelle guerre fugge.

Un esame di coscienza va fatto e forse bisogna anche concludere che la nostra preghiera per la pace non è poi così limpida. Forse il Signore ci invita ad aborrire tutte le guerre per il motivo vero: sono inutile e assurda perdita di vite umane.

La preghiera e i gesti di riconciliazione

La sofferenza degli uomini deve spingerci alla preghiera, una preghiera che intercede per tutti gli uomini, con l’atteggiamento di Gesù che sentiva compassione per le folle.

Non solo: nella preghiera ci vuole quella convinzione che porta alla perseveranza. Cioè, bisogna pregare come bambini capricciosi che non smettono di frignare finché non hanno ottenuto ciò che vogliono.

Ma noi sappiamo che la preghiera per arrivare al cuore di Dio deve essere accompagnata da gesti e opere che mettono in risalto che intendiamo fare la nostra parte.

In altre parole, pregare per la pace ha senso se facciamo opere di pace. Pregare perché non ci sia violenza ha senso se debelliamo la violenza in mezzo a noi.

Come è necessario coniugare preghiera e gesti di riconciliazione, preghiera e scelte di perdono, preghiera e opere di solidarietà. Rifiutare la guerra e pregare per la pace è sincero se si ama la vita, sempre, dal suo concepimento, nel tempo in cui scorre, fino al suo passaggio nell’eternità.

Come si fa a dire di amare la pace, quando si vive la violenza nel pretendere di possedere un’altra persona o si vive la violenza nell’arrogarsi il diritto di sopprimere una vita non ancora venuta alla luce, o si vive la violenza nello scartare alcune vite perché improduttive, sfinite, o cose simili?

Il nostro Dio è il Dio della gioia: lo ha promesso. Per questo ha mandato Gesù come il dono più grande.

Apriamoci al Dono e ai doni diventando terreno accogliente con scelte di vita caratterizzate dall’amore e dal rispetto della vita, sempre.

+ Gerardo Rocconi, Vescovo

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