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RITRATTI Emiliano Bernardi: da Jesi a Roma sulla strada del vino

“Ritratti” è uno spazio nel quale prende forma un’intervista che non ti aspetti, con persone e personaggi che riescono ad attirare interesse

 

JESI, 17 DICEMBRE 2020 – Baudelaire sosteneva che “chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere”, Molière che è “grande la fortuna di colui che possiede una buona bottiglia di vino, un buon libro, un buon amico”. Io dico che se il vino non fosse una cosa importante, Gesù non gli avrebbe dedicato il suo primo miracolo. Tutte verità sacrosante su cui concorda Emiliano Bernardi, apprezzato professionista vitivinicolo jesino: laureato in agraria indirizzo enologico, ha perfezionato le sue competenze grazie a 17 anni come responsabile vendite di una nota cantina locale, poi il destino lo ha portato nella capitale, dove attualmente posiziona bottiglie di alto livello sulla provincia di Roma per una agenzia di rappresentanza del settore.

 

Da dove nasce il tuo interesse a lavorare nel campo vinicolo?

«Dal mio grande amore per il vino. Da ragazzo frequentavo le sezioni del Moro e del Mutuo Soccorso a Jesi, poi con gli anni ho trasformato quello che era un piacevole passatempo in una autentica passione che ho voluto fosse parte integrante della mia vita da adulto. In questo passaggio mi hanno aiutato moltissimo i preziosi consigli di Giorgio Pigliapoco dell’enoteca di piazza Bramante e gli studi universitari che mi hanno formato. La preparazione in questo settore è fondamentale».

Se non sbaglio hai iniziato come tecnico.

«Sì, ho cominciato svolgendo analisi di laboratorio per l’azienda vinicola presso cui ero impiegato, la vendita è arrivata dopo, anche grazie alle dritte di Carlo Pigini Campanari, stimato enologo e produttore locale».

Cosa ti piace di più del tuo lavoro?

«La materia che tratto ma soprattutto il contatto con i clienti».

Per far conoscere il vino italiano hai viaggiato in tutto il mondo.

«Sì, è vero. Ricordo con particolare emozione la prima trasferta a New York, dove andai per una importante promozione di vini marchigiani, e l’esperienza a Tokyo, una metropoli immensa che mi ha lasciato senza parole».

Sono apprezzati i vini marchigiani all’estero?

«Moltissimo. Abbiamo la fortuna di essere nati in una terra che ha una qualità viticola pazzesca. Siamo già amatissimi dagli esperti, peccato che sulla grande distribuzione siamo ancora poco conosciuti».

Qualche incontro avvenuto per lavoro che ti colpito in modo particolare?

«Mi hanno sempre colpito i buyers scandinavi, che in ogni occasione sanno distinguersi per la loro professionalità e le eccellenti competenze. Tuttavia se devo citare un incontro speciale su tutti non posso non fare il nome di Ian D’Agata, luminare italo-americano dell’Accademia della Vite e del Vino nonché uno degli otto più importanti wine writer al mondo. Più che un uomo, è una vera enciclopedia vivente: la sua conoscenza in materia spazia agilmente per tutta la geografia del globo, eppure è una persona che si approccia agli altri sempre con estrema umiltà e soprattutto con un sorriso coinvolgente».

Vip ne hai conosciuti?

«Moltissimi. Mi vengono in mente Mauro Uliassi, Adriana Volpe, Sergio Volpini, ma, sarà per la mia infinita passione per la musica, soprattutto ricordo Mick Hucknall, il cantante dei Simply Red. Uno dei primi anni in cui lavoravo in questo settore gli ho fatto fare il giro di una nostra cantina».

Che ha detto Mick? Gli è piaciuto il vino dei colli di Jesi?

«Da matti. Non molti lo sanno, ma il cantante dei Simply Red è un grande conoscitore di vini, è stato uno dei primi vip a investire in una azienda vinicola in Italia, ai tempi ne aveva una sull’Etna, quando ancora quel territorio, dal punto di vista viticolo, era ignorato (aveva ragione: se ancora fosse suo, ora quel terreno gli varrebbe una fortuna!). Da esperto qual era, Hucknall apprezzava molto i nostri vini, specie il verdicchio, che conosceva benissimo grazie a Filippo Ghislieri, noto architetto romano di nascita ma jesino di adozione, che era suo caro amico».

Da intenditore quale invece sei tu, consigliaci qualcosa di buono.

«Se parliamo di rossi, ho una particolare predilezione per i piemontesi».

E se parliamo di bianco?

«Il verdicchio ovviamente, non c’è storia! È uno dei bianchi più buoni al mondo, austero, magari non facile, ma se gli lasci qualche anno di invecchiamento, sei di fronte a un autentico capolavoro. Del resto le Marche (Jesi e Matelica in testa) negli ultimi dieci anni hanno aumentato il profilo qualitativo della loro uva in modo esponenziale, lo dimostrano i tanti premi ricevuti. Lavoro a Roma già da un po’, ma ogni volta che assaggio un vino bianco, penso al mio amato verdicchio: i miei “castelli” me li mi porto sempre dentro».

Come va nel settore con le restrizioni dovute al covid?

«Il lavoro si è ridotto ad un terzo di quello che era prima. Interagiamo con ristoranti, bar ed enoteche, categoria tra le più colpite e penalizzate da questo momento storico. Molti esercenti hanno sospeso la loro attività, altri addirittura hanno chiuso. È dura, ma contiamo di risollevarci presto. Voglio essere fiducioso».

Natale si avvicina: chiudiamo con un sorriso?

«Direi che quest’anno ci meritiamo tutti di bere una grande bottiglia di vino».

A cosa brindiamo?

«Ovvio: al fatto che finalmente chiudiamo col 2020!».

 

Gioia Morici

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