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JESI Nemmeno con una rosa…

Contro la violenza di genere non solo il 25 novembre, ma anche ieri a Jesi, con l’istallazione del totem delle Scarpette Rosse vicino alla Panchina Rossa, in piazza Sansovino nel cuore del centro storico. Ci dovremmo pensare non solo durante la giornata mondiale contro la violenza sulle donne, o ieri con l’iniziativa artistica a cura del Liceo Mannucci, ma ancora domani e quando si saranno affievolite le eco dei media che hanno riempito pagine e frequenze sul tema.

foto installazione scarpette rosse vicino la panchina, Sansovino Jesi

La Panchina Rossa con la nuova installazione artistica

Penso spesso alla prima volta (e purtroppo non fu l’ultima) che mi sono trovato buttato in mezzo ad un caso di stalking, con gli ovvi risvolti di violenza: una questione apparentemente lineare, anche se di difficile soluzione.

Fu poco più di 8 anni fa, quasi una casualità: passai a casa di un amico che, mentre mi versava la bibita, mi approccia con un
vago «Oh, te! Che conosci un sacco de gente… Ma non si può far niente per…».

Una sua vicina era stata costretta a trasferirsi in un Comune dei nostri Castelli, perché erano ormai tre mesi che era vittima delle attenzioni di un perfetto sconosciuto, che gliene aveva combinate di ogni: da animali morti davanti all’uscio, danneggiamenti dell’impianto
idrico condominiale, fino a speronarla in auto.

foto installazione scarpette rosse vicino la panchina, Sansovino Jesi

Scarpette rosse

Come da prassi, ho raccolto tutte le informazioni utili e inutili: referti del pronto soccorso, denunce fatte ai Carabinieri, video di sorveglianza. Di materiale ce n’era tale da farsi domandare perché si fosse arrivati a quel punto.

I Carabinieri avevano fatto anche diversi appostamenti, ma infruttuosi e (leggi dell’epoca, ma ora non è molto diverso…) se non c’era flagranza non si poteva fare nulla.

“Ah! La Polizia non fa nulla, non può fare niente!”: frasi del genere le avrò sentite centinaia di volte, ma personalmente non ho mai avuto esperienza diretta di poliziotti o carabinieri menefreghisti in questi casi. Ho visto, invece, in quei rapporti, l’Uomo che sta dietro la divisa.
E mi fermo qui (‘chè non vorrei mi scambiaste per qualcun altro…). L’ho incontrata qualche giorno dopo quella ragazza, nel suo nuovo domicilio forzato: a pelle, al primo sguardo,  era una di quelle che classificheresti come “cazzute” e tale me la descrivevano i suoi amici.

Quella che stava davanti a me era però qualcuno di profondamente diverso: sì, la rabbia per quanto stava subendo, ma soverchiata dai tremori della voce, dalla mimica corporea insicura, dalla tutona in pile (quelle che non metti con uno che vedi la prima volta), tutto che trasmetteva l’immagine di una persona incrinata.

Quel giorno erano appena quattro mesi che per lei era cominciato quell’incubo. Ora, se solo quattro mesi bastano a fare questo, pensate agli anni, le vite intere di persone che vivono sotto la spada di Damocle.

Il mio intervento si limitò allo scrivere per lei un’accorata lettera, che il giorno dopo richiusi in un plico, insieme ai referti e alle denunce. Non lo consegnai al proverbiale “santo in Paradiso”, ma a tutti i Santi, scomodando anche il Purgatorio!

Non so se servì effettivamente. So che quattro giorni dopo i carabinieri consegnarono al molestatore la misura di Tso e susseguente soggiorno coatto in altro Comune. Finì bene. Perché finì bene?

foto installazione scarpette rosse vicino la panchina, Sansovino Jesi

La Panchina Rossa in Piazza Sansovino

Perché lei chiese aiuto, perché denunciò, perché mise chi poteva aiutarla nelle condizioni di farlo! Il silenzio, l’omertà, la vergogna, delle vittime e di chi sa, sono la causa ultima di quelle lacrime che poi versiamo, quando è troppo tardi.

Sì, ci sono tante pessime persone al mondo che possono farvi del male… Ma spesso bastano le poche persone per bene a cui chiedete aiuto (e 3 o 4 carabinieri, che non guasta mai!).

(m.m.m.)

©RIPRODUZIONE RISERVATA

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