Segui QdM Notizie

Jesi

COTTO E MANGIATO LA RUBRICA DI GIOIA MORICI

“SBAM” ovvero SOGNO DI UN AMORE DI MEZZA ESTATE

 gioia1

Dear People from Ibiza,

mi congedo per un paio di settimane, perché l’unico neurone funzionante (si fa per dire) della mia testa ha bisogno di ricaricare la batteria. Per salutarvi ho scelto qualcosa di diverso…perché con me dovete stare sempre all’erta…awanagana sniaps! Se volete, scrivetemi su [email protected] e inviatemi i vostri suggerimenti per la rubrica: proverò ad essere all’altezza di idee, consigli e aspettative. Buone vacanze a tutti e un GRAZIE di cuore perché siete davvero in tanti a seguirmi. W la cazzata domenicale che ci libera e ci affratella. Cliccate sempre (a prescindere) ‘mi piace’ e condividete, così “la Gioia si diffonde”.

Dio sia lodato per le ferie che ci dona. Amen.

 

 

***************

 

Avrebbe potuto dire “Mah…pensavo meglio”. Oppure essere un po’ meno crudele: “Sei meravigliosa ma stasera sono stanco e, se non ti dispiace, tornerei a casa mia”. Sarebbe potuto sparire di punto in bianco come la maggior parte dei maschi fa abitualmente in casi simili. Se al contrario fosse stato particolarmente soddisfatto, avrebbe potuto dilungarsi in una smielata sequela di complimenti che l’avrebbe fatta arrossire. Insomma, avrebbe potuto dire qualunque cosa. Qualunque. Ma quelle tre parole a bruciapelo, dirompenti come una bomba a orologeria, lei non le aveva minimamente messe in conto. “Io ti amo”. Glielo disse dal fondo del letto, mentre si riabbottonava la camicia, con la faccia diretta verso lo specchio davanti a lui. Un breve respiro ed emise quella veloce manciata di suoni. Non la guardò neanche negli occhi, come a non dare troppo peso a quello che dichiarava: parlava così, come se stesse bofonchiando tra sé e sé un “mannaggia questo polsino non si allaccia…”…o “sentito che caldo che fa st’estate?”. Invece quello che la donna udì fu proprio “Io ti amo”. Stump stump stump: tre freccette al centro del bersaglio, che, naturalmente, si fracassò. E se dentro di lei qualcosa andò in frantumi, fuori da sé lo spazio si espanse, bloccandosi. Vista l’esitazione nell’aria, l’uomo si girò per capire se la giovane avesse inteso quello che era stato appena detto. Poi la fissò, in attesa di una reazione. Allora lei sibilò un marmoreo “ok”. Fu tutto quello che riuscì a replicare. Non fu in grado di metterci a contorno neanche una smorfia, un cenno della mano, un battito di ciglia. Schiuse a malapena la bocca e…“ok”. Quindi si sforzò di focalizzare in fretta il film dei loro incontri: tre, forse quattro. Sì, erano stati bene, avevano riso, scherzato, parlato…ma, su, si conoscevano da poche settimane, non ci si può sbilanciare così tanto in così poco tempo. Si può sganciare un “ti amo” dopo appena tre incontri?? D’accordo, non c’è un timer prestabilito che ci avvisi quando è il momento giusto di dire “ti amo”. Se esce, esce. Però, dai, tre incontri sono pochissimi…po-chis-si-mi. Evidentemente dietro la corazza da uomo duro, si nascondeva un tenerone. E lei, a un tenerone che impavidamente le confessava di amarla, aveva appena ribattuto “ok”. Ma che risposta è “ok”?? Voleva sotterrarsi…sparire. Dio, che vergogna! Cercò di capire come poter rimediare a quell’acronimo infelice, sfogliando un breviario mentale di scene riparatrici possibili. Nella sua testa visualizzò un immaginario corridoio pieno di porte che conducevano ad altrettanti immaginari dialoghi, confezionati per incorniciare (e liquidare) quella fulminante dichiarazione d’amore: una frase, uno sviluppo, un epilogo, un garbato “anche no, addio per sempre, è stato bellissimo ma dimenticami”. Apriva e chiudeva porte. “Una battuta e la butto sul ridere? Naaa…potrebbe portaoffendersi. Allora gli scaglio addosso un pippotto sul mio ex con tutte le pene di cuore subite…no, poveraccio, non se lo merita. E se gli dicessi molto onestamente “grazie, sei fantastico e romanticissimo, eddai, però ti amo come cazzo t’è uscito??”…see…così lo anniento”. E allora cosa fare? Cosa?? Beh, forse il mutismo si rivelava la scelta più dignitosa. Vigliacca, ma dignitosa. Avrebbe indugiato, lasciando silenziosamente che le cose, da sole, come un fiume che scorre, seguissero con passività il loro corso. Pertanto lo guardò e sfoderò (in rigoroso silenzio) il sorriso più dolce che avesse in repertorio. Punto. Non fece altro. Rimase così, immobile come un’iguana. E lui, con un’espressione a dir poco sbigottita, la riguardò. Era chiaro che si aspettava qualcos’altro da lei. Forse uno struggente “ti amo anche io”??…diamine, ma “ti amo” non  le sarebbe uscito neanche con le tenaglie! Ecco, adesso era in preda al panico. Una gocciolina di sudore freddo le scese dalla fronte. Cercò di camuffare l’ansia che stava paralizzando il suo corpo, ma sentiva braccia e gambe riempirsi di cera fredda. Tentò un colpo di coda. Perché il genio, come diceva il Perozzi in Amici miei, “è fantasia, intuizione e velocità d’esecuzione” e perché in amore, come in guerra, non c’è tempo di pensare, altrimenti si muore. Voilà, fulmineo, il piano B: la fuga distrattiva. Lei si alzò dal letto e cominciò a rovistare in giro per la camera. “Tesoro…hai visto le mie mutande?…certo che sono veramente sbadata…ho sempre la testa per aria e mica lo so dove butto i vestiti quando mi spoglio…toh, guarda qua, la gonna è finita sotto il cuscino e adesso è tutta stropicciata! Chissà domani che mi metto per andare a lavoro, eh?? Ahahaha!”. E scoppiò in una risata isterica, lunga, fintissima, fatta di note acute come ultrasuoni, con tre precisi obiettivi: 1) riempire il vuoto 2) depistare l’attenzione 3) prendere altro tempo. Peccato che il nemico non ci cascò. “Insomma, rispondi qualcosa di più di ok o no?!”. Maledizione, era tosto il vietcong, e pure imbufalito! Lo fissò posseduta dal terrore e “Ahahahaha!!”, gli sparò in faccia un’altra risata isterica. Non sapeva che fare. Piano C? Piano D?? E-F-G?? Niente. Vuoto totale. Non aveva idea di che pesci prendere. Allora si arrese. Sventolò bandiera bianca con le spalle al muro e lo sguardo basso, piena di imbarazzo. “Giorgio, senti…mi hai spiazzata…io non so davvero cosa dirti…sono confusa, stordita…abbi pazienza, bisogna che mi aiuti….non sono in grado di risponderti…”. “Ah non sai che dire?? – fece secco l’uomo. E poi, serissimo, implacabile: – D’accordo, ti aiuto…ma ogni tanto però un po’ d’iniziativa da parte tua non guasterebbe, sai! – (Pausa) – Allora, senti, preferisci il cinese o il messicano?”. “Eeeh??”. “No, dico, il ristorante: mangiamo al cinese o al messicano? Io ho una fame della Madonna!”. Lei strabuzzò gli occhi. “Ma, scusa, cosa mi hai detto prima?”. “Ti ho chiesto usciamo?”. “Usc…iamo?? Era usciamo??”. “Sì, esatto, usciamo, ma tu non ti muovevi, stavi ferma come una statua di cemento…aho, son quasi le dieci di sera e ancora dobbiamo cenare!” “Ah…solo u-s-c-i-amo?”. “Roberta, ma stai bene? Che hai stasera? Mi sembri rincoglionita”.

E “rincoglionita” fu l’ultima parola della serata. L’ultima parola che disse lui, l’ultima parola che, come un’eco, risuonò nella testa di lei, l’ultima parola che si udì nella stanza. Poi la porta con lo scenario conclusivo si chiuse – SBAM –  e il lungo corridoio immaginario, tra nebbie di fumo, sparì.

([email protected])

© RIPRODUZIONE RISERVATA

 

News