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AURORA BASKET 28 MAGGIO 2004, GIGIO GRESTA RACCONTA LA STORICA PROMOZIONE DELLA SICC IN SERIE A1

JESI, 28 maggio 2018 – Il 28 maggio 2004 l’Aurora Basket, allora targata Sicc, vince gara 3 in casa della Virtus Bologna e conquista la storica promozione in serie A1.

Riviviamo quella magica stagione nelle parole e negli aneddoti di Coach Gigio Gresta.

Estate 2003. Come avvenne la tua promozione da vice a Capo Allenatore ?

Ero impegnato nella costruzione del roster, anche perché da contratto svolgevo anche la funzione di direttore Sportivo. Proprio mentre ero alla Sicc con il Patron Latini, per proporre l’acquisto di Blizzard, mi arriva la telefonata di Virginio Bernardi, che non era il mio procuratore, per chiedermi chi avrebbe allenato la squadra. Gli dissi che doveva chiedere ai dirigenti, non a me. Io sarei stato felice se fosse rimasto Andrea Zanchi, e in ogni caso non mi piaceva l’idea di scegliere colui che doveva essere il mio Capo, al massimo potevo dare un consiglio, nulla di più. Poi, dopo tre giorni, mi chiamò Mario Talacchia e mi disse: “Faresti l’allenatore della squadra ?”. Risposi che, a differenza degli anni precedenti, se mi fosse stato chiesto avrei accettato. Dopo pochi minuti, Alfiero Latini mi comunicò che ero ufficialmente il nuovo allenatore.

Con quali criteri hai costruito la squadra ?

Avevo appena trentadue anni ed ero alla prima esperienza da Capo Allenatore tra i professionisti, quindi volevo una squadra che fosse “facilmente” allenabile. Lupo Rossini unico Italiano del gruppo, perche agli stranieri non interessa il curriculum del Coach. Decisi che Rocca per la prima volta sarebbe partito in quintetto. Presi Robinson che avevo già avuto ad Avellino, spinsi molto per Blizzard, un giovanotto che mi piaceva molto. Su Singleton fu una vera e propria scommessa vinta; ricordo ancora i commenti di tanti illustri colleghi che mi davano del pazzo e dicevano che James da numero 4 avrebbe giocato fuori ruolo, io invece ero sicuro della bontà della scelta.

Primo giorno di preparazione. Cosa hai detto nel classico “discorso” ai giocatori ?

Una marea di cazzate. Ripresi un discorso di Luca Dalmonte, che era stato il mio capo ad Avellino. Lo stimavo, posso dire che era il mio idolo, e la verità è che lo scimmiottavo. Mi ero reso poco credibile e oggi me ne vergogno ancora. Anche gli allenamenti, li preparavo uguali ai suoi. Non capivo che Rocca non era Maggioli, e Lupo era diverso da Mastroianni. Per fortuna dopo poco, ci pensò Gianluca Petronio a farmi ragionare.

Le sensazioni sono state positive fin da subito ?

No. Dopo qualche giorno di lavoro, vado ad assistere ad una parte di allenamento in tribuna, vicino al Presidente Gallucci, e nell’esecuzione dei giochi la palla finisce puntualmente in tribuna. Andiamo a giocare una partita amichevole ad Ancona, e la squadra allenata da Piero Coen ci infligge una severa lezione, con Alfiero Latini che abbandona prima della fine, incazzato nero. Da lì però, è stato un crescendo.

Ti passava per la testa l’idea che quella squadra potesse fare qualcosa di grandioso ?

Racconto un episodio. Prima che iniziasse il campionato io, Stefano Cioppi che allenava a Fabriano, e il compianto Alessio Baldinelli Coach di Osimo, eravamo insieme per rilasciare un’intervista congiunta ad un giornale locale. Ci chiesero quale fosse l’obbiettivo delle nostre squadra. Io dissi: “Vincere il campionato”. Cioppi non esitò a darmi dello scemo, e forse non aveva tutti i torti, ma all’Aurora volevano tenere un profili alto. Mi mancava un giocatore come Gigena, ma la squadra nel complesso mi piaceva tanto, e questa cosa della serie A1 mi ronzava per la testa.

Come è nato il gioco offensivo con la “doppia uscita”, che ha fatto impazzire le difese avversarie ?

Chiamavamo quel gioco con il numero 1. In quel modo riuscivamo a coinvolgere tutto il quintetto, e chi usciva dalla doppia poteva penetrare al centro, sul fondo, o dare palla dentro. Anche questa soluzione è stata condivisa con Dalmonte ad Avellino, ma questa volta c’era anche del mio. Ho passato tante ore a studiare le spaziature migliori per l’esecuzione dello schema.

La squadra è sempre stata in lotta per le primissime posizioni. Come vedevano gli altri allenatori un giovane, debuttante e vincente, come te ?

Mi guardavano con simpatia, e la cosa mi faceva piacere. Forse do la sensazione di essere estremamente sicuro di me stesso, ma oggi come allora, ho sempre molti dubbio in ciò che faccio. Solo poi, mi accorsi che c’era tanta finzione dietro ai sorrisi.

A Reggio Emilia l’infortunio di Trent Whiting. Cosa hai detto a Blizzard, che si apprestava a diventare la guardia titolare ?

Mancavano pochissime partite alla fine della stagione regolare, e Reggio era già promossa. Noi avevamo già firmato con DeSean Hadley, come Americano di “scorta”, perché volevamo essere pronti in caso di qualche infortunio degli esterni, e in ottica di un possibile incrocio con la Virtus, cercavo un altro giocatore che potesse difendere su Smith. Tengo a sottolineare come, oggi l’acquistare Americani di riserva sia una pratica diffusa, ma quattordici anni fa eravamo stati dei precursori. Brett non voleva più giocare, a causa di una botta presa allo scafoide. Andai a cena con lui, e fui molto chiaro: “Abbiamo preso Gordan Firic. Ora, se vuoi essere protagonista, sappi che la mai prima scelta sei tu, altrimenti se per un banale infortunio vuoi comportarti da codardo, fai come vuoi. Hai tempo fino a domani per decidere.” Rimase stupito, quasi incredulo. La storia ci racconta cosa scelse di fare.

Come fu l’approccio verso i play off ?

Buono. I ragazzi avevano attutito bene il fatto di non aver centrato la promozione diretta. Ero convinto che potevamo raggiungere la finale. Vincerla, era tutto un altro discorso.

Quarti di finale. Jesi vince le prime due partite in casa contro Scafati. Poi in trasferta arrivano due sconfitte. La leggenda narra che nello spogliatoio, dopo gara 4, ci sia stato un po’ di “movimento”. Ci racconti come andò ?

Ero solito entrare per ultimo nello spogliatoio. Petronio aprì la porta e vidi Rocca dirigersi minaccioso verso Singleton. Urlai a Gianluca di chiudere immediatamente, perché in fondo stava accadendo ciò che volevo. James era giovanissimo, e doveva dimostrare agli osservatori NBA che poteva giocare anche da numero 3, ma sbagliò di tutto, e fui costretto a tenerlo in panchina a lungo, prendendomi non pochi rimbrotti dall’ambiente Jesino. Lui sapeva di averla combinata “grossa” e nel viaggio di ritorno cercava di avvicinarsi a me e ai compagni con fare benevolo e sorridente, ma quella sera si beccò solo dei vaffa. Poi, durante la riunione video, ero solito non accettare i ritardi di nessuno e solo giocatori e staff potevano partecipare. Quella volta invece chiesi ad Alfiero Latini di entrare in ritardo, sedersi, stare in silenzio qualche minuto e poi uscire. Dovevo dare un segnale, ristabilire le gerarchie, ed in effetti il clima cambiò. Vincemmo agevolmente gara 5, e poi sperammo brillantemente la semifinale contro una squadra davvero forte come Montecatini.

 

Finale Jesi – Virtus Bologna. Hai qualche aneddoto da raccontarci ?

Poco prima di gara 1, parlando con Talacchia, gli dissi: “Compriamo 3000 fischietti per i nostri tifosi. Il Palas deve essere una bolgia. Ci faranno una multa, ma mica possono darci partita persa.” Lui si convinse che era una buona idea, e quei fischi assordanti ci aiutarono parecchio, con buona pace di Sabbatini che si arrabbiò parecchio. In gara 2 invece, eravamo in una fase della partita in cui la squadra e il pubblico avevano bisogno di una scossa. A quel punto, alla prima occasione in cui mi si avvicina Rick Brunson, apostrofo la mamma in modo “affettuoso”. Lui si infuria, protesta. Io dico agli arbitri di non capire che cosa volesse da me. Obiettivo raggiunto, il pubblico si accese e ci trascinò. La cosa buffa è che poi incontrai casualmente proprio Brunson alla Summer league, e ovviamente mi restituì la “cortesia”.

In gara2 la tripla di Smith sembrava aver consegnato la partita alla Virtus, invece Lupo vola in contropiede e regala l’assist del successo a Rocca. Tutto preparato ?

Eravamo pronti alle situazioni in cui dovevamo prendere un tiro veloce, utilizzando quello schema, che chiamavamo “flash”, con un blocco a scendere verso il centro, per poi rollare e puntare il canestro.

In gara 3 tutto è sembrato molto facile. Come l’avevi preparata ?

I giocatori erano convinti di farcela, io invece pensavo che saremmo arrivati a gara 5. Tatticamente ci conoscevamo alla perfezione, quindi dovevo inventarmi qualcosa. Utilizzammo la difesa 1-3-1 con il numero 2, come facevamo con la zona 3-2. Anche se non l’avevamo mai fatta durante l’anno, recuperammo diversi palloni , aprendo il solco decisivo. Prima della partita invece, avevo appeso negli spogliatoi, il manifesto con le dichiarazioni del loro Presidente, il quale sosteneva che tra la Virtus e Jesi ci fossero almeno venti punti di differenza, a loro favore. E anche un volantino della Virtus, che recitava “Vogliamo tornare a Jesi”. Aggiunsi con il pennarello: “Anche noi. Questa sera”.

Fosse stato possibile confermare tutti i giocatori, quella squadra si sarebbe salvata anche l’anno successivo in A1 ?

Si. Magari con qualcosa in più, ma credo proprio di si.

Sei riuscito a seguire il gran bel campionato che ha disputato l’Aurora quest’anno ?

Certo, Quando ho potuto l’ho guardata sempre. Sono felice per Altero, per tutto l’ambiente, e per Damiano Cagnazzo che ancora una volta si è dimostrato un grande. Verso Jesi continuo a nutrire un grande affetto. Il mio amore è andato oltre allo scetticismo. Mentre a poco più di trent’anni stavo guidando una squadra verso traguardi incredibili, qualche “leone da testiera” si divertiva ad insultarmi. Certe parole mi hanno fatto davvero male. Ma ho imparato una cosa: Non seguo più i forum degli pseudo tifosi.

Ora alleni con successo il BC Vienna. Suggerisci all’Aurora un giocatore del Campionato Austriaco.

Brian Oliver di Kapfenberg. Un Jamal Robinson con ancor più tiro dalla lunga distanza. In semifinale…. ci ha distrutto !!!!

 

Marco Pigliapoco

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