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DANTEDÌ Il “Liber Dantis” stampato a Jesi nel 1472

Nel 1972 realizzate alcune centinaia di copie in forma anastatica e diverse furono sistemate in archivio per farne omaggio a personaggi di primo piano

JESI, 25 marzo 2021 – Se ben ricordo, verso la fine del 1971 o i primi del ’72 l’ottimo direttore di allora della nostra biblioteca professor Edoardo Pierpaoli, venne in Comune a propormi la possibilità di stampare alcune centinaia di copie in forma anastatica del “Liber Dantisstampato a Jesi nel 1472 ricorrendo proprio in quell’anno il quinto centenario della preziosa edizione principe. La proposta comportava la garanzia di un forte aiuto finanziario del comune integrato poi dalle vendite del libro. Sinceramente di quell’incunabolo del ‘400 non ne sapevo niente. Ebbi l’obbligo morale di approfondire un po’. Si trattava di un incunabolo non di proprietà della nostra biblioteca, ma che avremmo potuto avere in prestito per la stampa dalla biblioteca Trivulziana di Milano. Le garanzie tecnico-culturali per la realizzazione venivano da due esperti con i quali Pierpaoli era in contatto.

Si trattava della prima stampa in incunaboli della Divina Commedia preziosissima non solo di per sé, ma perché avvenuta a Jesi. Di qui l’interesse e la proposta di Pierpaoli. Si tenga presente che in quello stesso anno ci furono almeno altre quattro stampe principi della Commedia perché, quasi certamente, l’entusiasmo per la scoperta dei caratteri mobili avvenuta un decennio prima spingeva verso la valorizzazione della maggiore opera letteraria della nostra storia. Ne furono stampate in folio di Fabriano 600 copie. Io possiedo la n.60.

Trattasi di un volume di 220 fogli del testo originario, più 50 pagine con le introduzioni dei due curatori e un indice, alla fine del testo, di quattro pagine. Le quali nel testo originario non sono numerate né è riportata la città in cui è avvenuta la stampa: due elementi fondamentali che solo successivamente verranno presi in considerazione delle tipografie. Ma proprio il fatto dell’assenza del nome della città dove era ubicata la tipografia ha determinato ampie ricerche e discussioni per chiarire dove effettivamente questa prima famosissima edizione fosse stata stampata: a Jesi o a Verona?  Perché questa incertezza? Perché il tipografo fu Federico de’ Conti da Verona, tipografo che aveva lavorato sia a Verona sia a Venezia, ma che intorno al 1469-70 si era trasferito a Jesi in seguito alla chiamata  diretta della città, costretta dalle conseguenze della peste del 1467 che a Jesi come a Santa Maria Nuova aveva strappato alla vita tanti cittadini.

Fu la nota discesa dei lombardi e dei veneti verso il nostro paese e soprattutto verso Santa Maria Nova e Collina che allora si erano specializzate nella lavorazione delle lane e che, data la peste, si trovarono improvvisamente con pochissima mano d’opera. La chiamata, che comprese anche il tipografo Federico, fu un avvenimento prezioso perché Jesi comune aspirava ad avere una propria tipografia fissa e fece ponti d’oro per avere il veronese. Il quale era abituato a lavorare qua e là portando con sé tutto lo strumentario necessario, uno strumentario povero e primitivo perché siamo ai primi passi dell’invenzione di Gutenberg. Ma strumentario preziosissimo perché sembrava un sogno poter stampare in poco tempo tante copie di un manoscritto.

Secondo i più dei critici, la controversia Jesi-Verona si è risolta a favore di Jesi, tanto è vero che nel 5° anniversario della stampa, Verona non ne volle sapere di partecipare all’iniziativa delle copie anastatiche. Fu Jesi a prendersi ogni responsabilità grazie soprattutto all’accortezza e alla buona volontà di Pierpaoli. L‘introduzione di Severino Ragazzini chiarisce molte cose di questa famosa prima edizione jesina di cui ne rimangono forse soltanto 6 copie nel mondo: Roma, Ravenna, Milano, Londra, Manchester, New York. Una è quella di Milano prestata per poter stampare le copie anastatiche. Da questa si evince che trattasi di una edizione con molte omissioni di parole o di versi o di terzine e anche di una pagina.

C’è poi una pagina stampata due volte. Sembra che fu una tiratura di 300 copie. Quale manoscritto Federico avesse in mano non si è potuto mai accertare. E se si fa il confronto tra questa edizione principe jesina e quelle contemporanee del 1472, per esempio, di Mantova e di Foligno come fa nella introduzione Luigi Pascasio, troviamo molte differenze, quasi da scandalizzarci se non tenessimo presente cosa in realtà voleva dire e vuol dire oggi per noi, avere in mano le “principi” della Divina Commedia che manifestano le mille difficoltà tecniche che il tipografo ha dovuto superare in questi primi passi della nuova invenzione.

Naturalmente il tema più delicato e difficile da risolvere è quello dei manoscritti a disposizione dei tipografi: di chi erano? Quanto affidabili? Chi ha fatto il confronto con altri  per ottenere la dizione originaria dei singoli versi? La storia ha dimostrato che l’interesse per Dante ha avuto un momento di pausa durante l’Umanesimo e il  Rinascimento, ma dal ‘700 in poi l’esaltazione del ghibellin fuggiasco è stata un crescendo. Ed ecco le tante edizioni critiche fino ad arrivare, forse, ad avere oggi dubbi solo su qualche verso o su singoli termini. 

Jesi può vantare di essere presente alla celebrazione del settimo centenario della morte di Dante ricordando e valorizzando la stampa anastatica realizzata dall’amministrazione nel 1972 e che molti jesini dovrebbero avere. Diverse copie furono sistemate in archivio allo scopo di farne omaggio a personaggi di primo piano che sarebbero venuti a Jesi per qualche celebrazione. Non so dire quante sono ancora le copie a disposizione e non ricordo quante sono quelle che vincolammo presso la  biblioteca. 

Vittorio Massaccesi

(da Voce della Vallesina)

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