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Cronaca

Il golpe cileno Quando Hortensia Allende fu ospite a Jesi

La città ebbe l’onore e l’orgoglio di averla sua ospite nel giugno del 1984 e di ascoltare, da lei, parole che, rilette in queste ore, appaiono profetiche

* di Gabriele Fava

Jesi – Un pezzo di roccia delle nostre Alpi strappato da una mina e su quella pietra le ultime parole del Presidente Salvador Allende: “Il mio sacrificio non sarà vano: Viva il Cile! Viva il popolo cileno!”.

Un segno, un simbolo con il quale nel decimo anniversario del golpe, la Città di Jesi volle manifestare una rinnovata e partecipata solidarietà nei confronti di un popolo amico, duramente impegnato per riconquistare libertà e democrazia.

La Telefonata a Hortensia

Hortensia Bussi De Allende. Mettersi in contatto con lei non fu facile. Solo dopo lunghi e ripetuti tentativi con le organizzazioni democratiche cilene operanti in Italia, riuscii a parlarle per telefono. Si trovava a Città del Messico, ma accolse l’invito con grande entusiasmo.

Così Jesi ebbe l’onore e l’orgoglio di averla sua ospite nel giugno del 1984 e di ascoltare, da lei, parole che, rilette in queste ore, appaiono profetiche.

“Il fascismo non è un regime durevole: può riuscire a dominare con il terrore tutte le società; nell’apogeo della sua barbarie, i dittatori possono illudersi di avere la possibilità di perpetuarsi e formuleranno progetti ambiziosi; ma alla fine sono sempre i popoli a trionfare e la democrazia e la libertà tornano a regnare…”.

L’Omaggio a Berlinguer

La voce di Hortensia Allende risuonava nella piazza jesina intitolata a suo marito, pacata ma ferma ed energica, come nell’intervista radiofonica di questi giorni, subito dopo la vittoria del no, nella quale esaltava il valore dell’unità delle forze democratiche cilene.

La stessa convinzione profonda e commossa con la quale, nel discorso jesino, che conservo chiosato di suo pugno, rese omaggio alla memoria di “Enrico Berlinguer… la cui scomparsa viene rimpianta da tutti i popoli che lottano per la libertà…”.

A queste parole un amministratore che sedeva al suo fianco cominciò ad agitarsi sulla sedia, come gli capitava di fare quando non si dava spazio ai suoi uzzoli. Peccato per lui, si guastò l’animo e perse il gusto della festa.

Cittadina come gli altri

«Senta le chiedo una cortesia: dopo la manifestazione, mi faccia trascorrere una serata come la passeranno in famiglia i cittadini di Jesi, senza cerimonie né cerimoniali».

Questo desiderio nasceva, evidentemente, dalla sensibilità dell’esule, costretto a vivere da troppi anni lontano dal suo Paese.

A casa di Emilio e Maila, Hortensia Allende mostrò di sentirsi a suo agio. Circondata da affetto e ammirazione, a tavola, come vecchi amici, a parlare fitto fitto e a voce sempre più alta, per coprire gli scambi incrociati di opinioni e le note del “Pueblo unido” provenienti dalla piazza.

A piedi verso l’albergo

Hortensia, al centro dell’attenzione, stupì tutti per la sua inesauribile vitalità. A tarda sera, in Piazza della Repubblica, con evidente preoccupazione della scorta e sgomento dei suoi sfiniti accompagnatori, volle scendere dalla macchina per fare “due passi fino all’albergo”.

Ci abbracciammo nel salutarci; il mio era l’abbraccio fraterno di una città che, in questi giorni, gioisce e trepida per le notizie che giungono dal Cile del Presidente Salvator Allende.

“Non si arrestano i processi sociali, né con i crimini, né con la forza”.

*Ex sindaco di Jesi

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