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Jesi “Ci vuole orecchio”, Elio canta Jannacci e incanta Piazza Federico II: “o yeh!”

Aperto ufficialmente ieri il XXIII Festival Pergolesi Spontini, spettacolo di Teatro-Canzone eccentrico e bizzarro, spiazzante come lo era Enzo, che ha dato vita a una location esaurita in ogni senso

Jesi“Quelli che…” frequentavano il Derby Club e pensavano che fosse un Milan-Inter, o yeh; “Quelli che…” conoscevano Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Cochi e Renato, I Gufi solo attraverso i dischi che toccava ordinare, o yeh! “Quelli che…” pensavano che la surrealtà fosse solo una realtà irrazionale, o yeh! “Quelli che…” ogni sera cazzeggiavano seriamente con Diego Abatantuono, Dario Fo, Giorgio Faletti, Beppe Viola, Paolo Rossi, Bruno Lauzi e pensavano che fossero dei suonati fuori del tempo ma non sapevano che avrebbero creato “un tempo”, un’era nella breccia della cultura italiana a bagno nel boom economico. O yeh!

Ecco, ho chiesto a Elio – prima del suo spettacolo “Ci vuole orecchio” – Elio canta e recita Enzo Jannacci, drammaturgia di Giorgio Gallione e arrangiamenti di Paolo Silvestri, che inaugurava l’anteprima del XXIII Festival Pergolesi – Spontini, in Piazza Federico II – questa cosa: è vero che sembra si sia erroneamente perso, oggi, ad anni di distanza, quello spirito di fare musica, scrivere versi, talvolta “scellerati e scriteriati” come li definiva un censore degli anni Settanta? 

 Lui mi guarda stupito e pensa che non ha troppo tempo, prima di salire in scena, per rispondere a questa lunga domanda. 

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«Oilà, questa domanda richiede una risposta lunga, ma arrivo subito. Innanzitutto, se è esistita questa “scuola” milanese, senz’altro Enzo Jannacci ne è stato uno dei fondatori. Il padre artistico, credo, di tutti quei comici del Derby, che tu hai citato in parte, una bella generazione. Lo intendo come una specie di papà per tutti, quella vena assurda e surreale che poi prenderà forma, inizia proprio da lui, un medico pianista e poeta. Non riesco a immaginare, sul serio, a chi possa essersi ispirato. Poi c’è anche un aspetto personale e affettivo verso Enzo, il mio papà era in classe insieme a lui. Così, fin da piccolo, ho sempre ascoltato e sentito parlare senza sosta di Jannacci qua, Jannacci là. Uno che ha anticipato tempi che poi avrebbero messo una bandierina nella storia della musica, della poesia, del teatro. Quindi anche un affetto di base mi ha spinto a pensare a questo spettacolo. Confesso, non mi sarei aspettato un successo del genere, abbiamo date in programma fino al prossimo inverno, mi sarei accontentato di portarlo in piazze e teatri giusto un anno per farlo ascoltare e conoscere e invece questo è il terzo anno. Jannacci è nel cuore della gente, i “geni puri” hanno sempre un posto particolare che azzera le mode e i tempi, esiste un tipo di attenzione diversa verso un artista non “conformista”. Ecco, se c’è una definizione che lo descrive appieno, è “non conformista”. Immagina, qualche decina di anni fa c’era una libertà assoluta nel teatro, nella ricerca, nell’innovazione, e pensa a oggi. Insieme agli amici delle Storie Tese, ci siamo posti spesso questa domanda: se fossimo nati adesso, col nostro stile di colorare, irridere, raccontare le periferie come in una sorta di teatro dell’assurdo…assordante, irriverente, sbeffeggiante come lo sono i personaggi che le animano, avremmo avuto modo ed occasione di farci ascoltare?».

Cristian Carrara direttore artistico Fondazione Pergolesi Spontini e il sindaco Lorenzo Fiordelmondo

Fermiamoci qui, è meglio. Qual è il brano di Jannacci che ti senti più vicino?

Giovanni Filosa, Elio

«Al di là dei legittimi gusti, sono un adoratore del surreale, per cui a me piacciono le canzoni della prima fase, in questo spettacolo ne ho inserite due, “Aveva un taxi nero e Sopra i vetri”, scritte fra l’altro da Dario Fo e con la musica di Fiorenzo Carpi, un grande di cui purtroppo parlano solo gli addetti ai lavori. Questo è un gran peccato e una vergogna».

Chi non ride, non è una persona seria”, sembra il sottotitolo dello spettacolo, in realtà è filosofia pura. Il lavoro, pieno di stelle filanti e colorato come un quadro festoso e tagliato da mille colori, coi suoi personaggi che sembrano clown che entrano ed escono con un tempismo circense, tenuti insieme da un dialogo (questo è il Teatro-canzone, signore e signori) eccentrico e bizzarro, spiazzante come lo era Jannacci, ha dato vita ad una piazza … esaurita, in ogni senso, che aveva bisogno di sentire i protagonisti che facevano il palo nella banda dell’Ortica, a bordo di due “scarp del tennis”, che  inciampano nelle proprie esistenze ma che, per fortuna, non creano cattiva dipendenza.

Il nonsense ha molte facce, Elio, insieme ai compagni di strada, guitti ed eccellenti musicisti, Alberto Tafuri al pianoforte, Martino Malacrida alla batteria, Pietro Martinelli a basso e contrabbasso, Sofia Tomelleri al sassofono, Giulio Tulli al trombone, ci ha proposto le sue. Con una scaletta scelta e spiazzante ma è dagli inizi che si conosce un genio. Così la pensa Elio.

Ah, dimenticavo, oggi è il tuo compleanno, auguri sinceri e tanti altri Jannacci ancora. Ti aspettiamo.     

(foto Binci)

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