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Jesi “Il Calapranzi” di Pinter pièce spietata involontariamente comica

Claudio “Greg” Gregori e Simone Colombari sono stati straordinari nei cambiamenti di situazioni, nelle pause, nelle tonalità che svelano mille sensazioni l’una che cancella quella precedente, con grande maestria

di Giovanni Filosa

Jesi, 19 marzo 2023 – Quando incontri un lavoro di Harold Pinter dal vivo, un adattamento completo che centra gli intendimenti dell’autore negli anni, strani e difficili, in cui lo scrisse, vale a dire i Cinquanta del Novecento, per prima cosa insegui l’attualità del testo.

Il Calapranzi”, nell’interpretazione di Claudio Greg Gregori e Simone Colombari, andato in scena venerdì al Teatro Pergolesi ha, all’apparenza, una trama semplice, secca come tutto il linguaggio e l’atmosfera che caratterizzano le opere di Pinter.

Simone Colombari e Claudio Gregori (1)
Simone Colombari e Claudio Gregori

Come se fosse senza spigoli.

 ”Due sicari, Ben e Gus, aspettano l’incarico di uccidere qualcuno, nel chiuso di un sotterraneo, uno scantinato, e finiscono per fare i lacché di un personaggio, forse un capo, che vive al piano di sopra, da dove scende un calapranzi, carico di ordini e pizzini che ordinano ai due pietanze che essi non possono preparare. Ben e Gus parlano, discutono, in realtà di niente, sciocchezze varie della quotidianità. Eppure si avverte qualcosa di irrisolto, che accresce la tensione, insieme all’irritabilità di Ben, alle ingenue domande di Gus, con l’imbarazzo e l’agitazione che serpeggiano. Non conoscono la loro vittima, ma sanno che prima o poi essa entrerà dalla porta dello scantinato per poi venire uccisa. Sino a un finale che regala un colpo di scena, anch’esso ambiguo nell’interpretazione, come lo è la stessa opera”.

In realtà le metafore, che prendono specialmente forma nel finale, percorrono la pièce esasperando l’aria densa di ansia e di tensioni che sfociano in dialoghi surreali e assurdi. L’attesa perfora le menti come un picchio l’albero, i due finiscono addirittura per litigare. Una incomunicabilità prende forma e si manifesta attraverso un crescendo di ossessive discussioni.

E la corda cui è appeso il calapranzi, che scende dall’alto annunciato come una messa, offre una immagine da thriller americano, con relativo incubo.

Come interpretare l’opera di Pinter?

Mai a cuor leggero. I ricordi agghiaccianti, gli attacchi musicali stranianti e improvvisi fanno capire, come credo volesse scrivere Pinter, che siamo circondati da una violenza permeata dalla sicurezza che ci sia una minaccia incombente. Il male esiste, sembra essere governato (è governato …)  da qualcuno sopra di noi, è piazzato in una nicchia a parte dentro a ciascuno. Alta suspense, tutti, in platea, attendono l’arrivo della vittima. In questo meccanismo che relega l’essere umano in una struttura in cui, per quanto possa credere ed esser convinto del contrario, subirà sempre, sarà controllato e non controllore, viene in mente una conclusione ideale al passo coi tempi.

Greg e Colombari sono stati straordinari nei cambiamenti di situazioni, nelle pause, nelle tonalità che svelano mille sensazioni l’una che cancella quella precedente, con grande maestria, ma hanno anche lanciato un messaggio. Hai visto mai, mi diceva l’amico Flavio, che chi calava il calapranzi con all’interno ordini e ordinazioni, richieste, comandi, pizzini, ecco, quelli soprattutto, potrebbe essere benissimo, oggi, Matteo Messina Denaro? Boutade?

Boh, ma ne converrete che a settant’anni e più di distanza, il buon Pinter potrebbe essere considerato a tutti gli effetti un ottimo strolligo.   

Meditate, gente, meditate. Tanti applausi, risate e riflessioni. Mai assurde… 

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