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Cronaca

JESI L’attesa di Viktor: «Le mie nipotine in fuga da Odessa»

Insieme alla loro mamma, il papà al fronte: «Stiamo combattendo una guerra in casa dove a rimetterci siamo solo noi poveri cristiani»

JESI, 2 marzo 2022 – Viktor, 31 anni, ucraino, da 16 anni in Italia, vive a Jesi e lavora in una piccola azienda. Colpisce subito il suo sguardo triste, parla sottovoce, ci sediamo al bar, e iniziamo a parlare.

«Mio fratello è al fronte da un anno e mezzo, perché lì la guerra c’è sempre, era tornato per il mese di riposo ma la mattina è stato subito richiamato, hanno richiamato tutti, non può uscire più nessuno dal Paese. Hanno richiamato tutti gli uomini dai 17 ai 65 anni. Mia cognata ora sta fuggendo con le sue due bambine da Odessa – continua Viktor –. La mattina dell’attacco russo ha videochiamato mia madre, vive qui con me, che ha così appreso la notizia. Quando sono passato a casa di mia madre per il solito saluto prima del lavoro, non sapevo niente. Non accendo la tv e non guardo i social, la mattina entrando ho visto mia mamma distrutta, è stato un momento devastante»

La voce è tremante e gli occhi sembrano riempirsi di lacrime, gli domandiamo come pensi che finisca

«L’Ucraina rimarrà da sola, prima si pensava c’è la Nato, c’è l’America , ma credo che tutta la guerra sarà in Ucraina, e l’Ucraina rimarrà da sola, – ripete – sarà un disastro, il popolo ucraino non sta facendo la guerra, si sta difendendo, sta difendendo il suo Paese, un Paese indipendente. Nemmeno il popolo russo sta facendo la guerra, ma sta semplicemente eseguendo un ordine».

Allora gli domandiamo che sui social si legge “eravamo come fratelli“, con i russi…

«Ma è così – fa lui -, io non posso prendermela con i russi perché tanti russi non vogliono la guerra, e nemmeno l’Ucraina sta combattendo una guerra contro la Russia, la fa contro Putin. Tanti russi sono solidali con il popolo ucraino e non vogliono la guerra, sono obbligati, come noi siamo obbligati a difenderci, è come fosse un lavoro, e sul lavoro devi rispettare le regole, è brutto ma è così. Stiamo combattendo una guerra in casa, dove a rimetterci siamo solo noi, poveri cristiani e quando vedi quei video – continua Viktor prendendo il telefonino in mano – dove i carrarmati passano sopra alle macchine, stanno semplicemente rispettando gli ordini». La follia della guerra.

Viktor ha 31 anni e i suoi occhi tristi stonano sul quel viso pulito di ragazzo, la sua preoccupazione più grande è per tutti i bambini ucraini, quanti bambini rimarranno orfani?

«Le mie due nipotine di nove e sei anni, insieme alla loro mamma, arriveranno giovedì o venerdì, siamo stati fortunati, e per questo non finirò mai di ringraziare un ragazzo moldavo, il mio datore di lavoro, che mi ha aiutato tantissimo. All’inizio pensavo che se non avessi trovato il modo sarei andato io fino alla frontiera, ma loro avrebbero dovuto fare circa 80 chilometri a piedi per raggiungerla, invece Maxim si è reso disponibile. Non è facile trovare persone buone come lui, che fanno 600 km per aiutarti ma esistono ancora persone buone e superato questo scoglio – continua Viktor – spero tanto che una volta giunte in Italia, non ci siano problemi di burocrazia, sicuramente non potranno rientrare prima di dieci anni. La grande si rende perfettamente conto della situazione, e vive con l’angoscia che il padre non ritorni dal fronte, per questo spero che qui in Italia possano proseguire la loro vita nella serenità che meritano. Per mia cognata non mi preoccupo, non cerco sostegno economico, lavoro, ho sempre lavorato, per lei e le piccole ci sono io, e c’è la mia mamma, abbiamo una casa piccolina staremo tutti lì, stretti ma felici».

Gli occhi di Viktor si riempiono di lacrime, ma non scendono, perché lui, è forte.

Ci stiamo per salutare, e Viktor prende il cellulare e dice: «Guarda, questo è mio fratello, e qui è dove dorme». La foto: una buca coperta di foglie, Viktor quasi giustificandosi fa capire che quelle foto non dovrebbero essere divulgate, la paura è tanta, chiediamo se ha difficoltà per mettersi in contatto con lui.

«Ci sentiamo poco – risponde -, e mi dice solo “sto bene“, o un semplice “è tutto ok“, “non posso dirti di più“, i loro telefoni sono controllati, per me è già tanto che mi risponde, potrebbe anche non succedere».

La sofferenza nei suoi occhi è palpabile, forse è ora di andare, di salutarci ma Viktor, riprendendo il telefono in mano, parla ancora.

«Gioco a calcio a cinque in una squadra di Jesi, Mmsa Giovane Aurora e sono appena tornato dalla partita contro la Cinque Torri – e mostra una foto – mi piacerebbe farlo sapere, il popolo italiano ci è vicino, questa foto l’hanno fatta stasera».

«Il popolo italiano è vicino all’Ucraina»

Ci alziamo per andare, guardiamo la fontana dei leoni, in Piazza della Repubblica, è colorata di blu e giallo, i colori dell’Ucraina, avremmo voglia di chiedergli uno scatto proprio lì, ma no

«Restiamo in contatto e dacci notizie dell’arrivo dei tuoi», gli diciamo. Viktor allunga la mano per salutare ma ci viene spontaneo salutarlo con un abbraccio, lo stesso abbraccio che immaginiamo per lui il giorno dell’incontro con nipotine e cognata reduci dall’Ucraina in fiamme. Lo salutiamo con la frase divenuta ormai la più retorica del mondo,vedrai, andrà tutto bene…” .

Ma chissà se nella sua retorica non sia proprio la frase giusta.

(Redazione)

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