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JESI Lucia Chiatti: «Non lasciamo solo il Teatro Pergolesi»

Difficoltà e speranze, parla l’ad della Fondazione Pergolesi Spontini: «Sosteniamolo e difendiamolo, per continuare a esserne sedotti»

JESI, 19 maggio 2020 – Sul decreto firmato il 17 maggio dal Presidente del Consiglio e disponibile sul sito del Governo, viene ratificata la ripresa degli spettacoli all’aperto e al chiuso a partire dal 15 giugno, ma rispettando le misure relative al mantenimento del distanziamento tra gli spettatori, il personale e gli artisti.

Si apre dunque, anche per la Fondazione Pergolesi Spontini, una fase di analisi dei protocolli governativi per programmare le attività coniugando la sicurezza del pubblico e dei lavoratori con la qualità della proposta artistica.

Non è ancora facile, alla luce delle novità introdotte, capire quando e come riaprirà il Teatro Pergolesi.

«Aspettiamo le direttive per capire i parametri da rispettare, sulla base di questi capiremo cosa proporre al pubblico», fa sapere Lucia Chiatti, amministratore delegato della Fondazione Pergolesi Spontini.

C’è prudenza, ma anche tanta voglia di ripartire. Cultura e spettacoli dal vivo causa l’emergenza del Covid-19 hanno purtroppo prodotto manifestazioni annullate, stagioni ormai andate e un comparto da ripensare. 

Ne abbiamo parlato con l’amministratrice delegata della Fondazione Pergolesi Spontini, Lucia Chiatti.

Quali spettacoli sono saltati causa emergenza sanitaria?

«Ad oggi sono saltate la Stagione Sinfonica (per intero) e, in gran parte, la Stagione di Prosa, oltre allo Sberleffo (rassegna amatoriale in vernacolo jesino) e altre iniziative e spettacoli promossi da gruppi o associazioni che avevano chiesto in affitto il Pergolesi».

Come immagina il futuro, come sarà lo spettacolo dal vivo dopo questa fase?

«Sicuramente andrà ripensato per il breve/medio periodo, alla luce delle nuove disposizioni ministeriali. Sul lungo periodo speriamo di tornare a fare teatro nella veste ordinaria e tradizionale. Credo che se ad oggi lo spettacolo dal vivo ha assunto una forma basata su regole ben precise, su canoni che ne definiscono l’assetto, si deve ad un percorso di evoluzione e maturazione che nel tempo ne ha affinato i mezzi e gli scopi, per essere uno strumento sempre più efficace di comunicazione e diffusione culturale».

Quali sono le sue preoccupazioni in questo momento?

 «In primo luogo c’è la responsabilità in capo al titolare dell’attività di tutelare la sicurezza in materia sanitaria dei lavoratori e, al tempo stesso, del pubblico dello spettacolo dal vivo: il pubblico è e resta parte integrante e direi coprotagonista degli eventi, senza di esso l’esperienza teatrale è incompleta e manca di quel phatos che accende l’emozione derivante proprio dall’incontro fra l’artista e lo spettatore. Se e quando torneremo a fare spettacolo (stiamo attendendo direttive ministeriali) dovremo prestare molta attenzione alle misure che ci verranno fornite dalle direttive ministeriali, e che non vanno sottovalutate perché i teatri tornino ad essere luoghi di incontro e di cultura, in piena sicurezza. Nel frattempo si stanno mettendo in campo, ed in qualche caso sperimentando, anche modalità diverse di fare teatro, ad esempio attraverso lo streaming, ma siamo tutti consapevoli che tale forma non potrà mai sostituire quella originaria. Credo che abbiamo quindi la responsabilità di difendere l’autenticità dell’arte, la qualità della forma d’arte, che non può essere bistrattata per fare a tutti i costi attività. È questa la mia seconda preoccupazione, per meglio dire premura. Il terzo aspetto che mi sta a cuore, ultimo ma non per importanza, è la tutela del lavoro: purtroppo i teatri sono stati i primi luoghi di lavoro a chiudere i battenti per l’emergenza e verosimilmente riapriranno tra molte incertezze.. Il teatro è contatto… è assembramento… per dirlo con l’accezione negativa che oggi si usa molto ma che convertirei in comunità, portando al centro l’alto valore sociale e culturale intrinseco al teatro. Il comparto artistico e quello tecnico hanno sofferto in modo importante di questa crisi, perché in un settore già precario di per sé, queste categorie, assieme a tutti coloro che hanno contratti a chiamata ed i freelance, sono le meno tutelate. Mi auguro che riusciamo a trovare una soluzione per non staccare completamente l’attività: serve ai lavoratori, ma anche, come dicevo sopra, alla comunità. Per questo credo in modi alternativi di fare spettacolo che permetteranno di farci sentire vivi e non venir meno al nostro compito di promozione culturale».

Lucia Chiatti

Lucia Chiatti

Cosa ti senti di dire ai tuoi collaboratori della Fondazione e a tutte le professioni che lavorano nel settore?

«In questo periodo vanno per la maggiore slogan quali andrà tutto bene o crisi come opportunità. Non li amo molto… Mi piace invece parlare a partire dai fatti di cui posso dire di aver fatto esperienza… In due mesi di chiusura del teatro, lo staff non si è mai fermato, e sono emersi alcuni elementi preziosi di cui credo possiamo fare tesoro per ripartire: in primo luogo l’umanità di ciascuno di noi è il nostro valore, a volte nella routine quotidiana lo dimentichiamo… ma in un momento di crisi e reclusione come l’attuale, questa ricchezza intrinseca ad ogni persona si è invece imposta ed è emersa come una vera risorsa; in secondo luogo la sperimentazione di nuove forme di spettacolo dal vivo fa emergere la creatività di ciascuno e le infinite possibilità, sorprese e risorse che il teatro ha e può riservarci, anche quando meno ce lo aspettiamo…!»

Un appello al pubblico del Teatro Pergolesi…

«Il Teatro Pergolesi vi aspetta! Non lasciamolo solo… sosteniamolo e difendiamolo! Per continuare ad essere sedotti dal teatro che ci introduce a un’indimenticabile e sempre nuova esperienza artistica in cui ci sentiamo uniti e unici al tempo stesso!».

Eleonora Dottori

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