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JESI Luciano Giuliodori e Riccardo Pesaresi, “Questa nostra terra”

Inaugurata la mostra fotografica, si tiene fino al primo maggio presso la sala espositiva di Palazzo Bisaccioni in Piazza Colocci

JESI, 12 aprile 2022 – Luciano Giuliodori e Riccardo Pesaresi sono due amici che condividono la stessa passione per la fotografia. Ma le somiglianze si fermano qui. Tanto emotivo ed empatico è Luciano Giuliodori, quanto lucido e razionale è Riccardo Pesaresi.

Il primo è espressione di una realtà interpretata, il secondo di una oggettività ricercata. I due amici fotografi sono protagonisti della mostra “Questa nostra terra”, inaugurata domenica scorsa e che si tiene fino al primo maggio presso la sala espositiva di Palazzo Bisaccioni, sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, in Piazza Colocci.

Per Luciano Giuliodori, noto oncologo responsabile dell’Aido-Iom di Jesi e delle cure palliative dell’Area Vasta 2, la fotografia è un mezzo espressivo capace di comunicare una grande forza emozionale attraverso la sua carica evocativa. Nei paesaggi che sceglie, nelle inquadrature che cerca, nei soggetti messi in evidenza non conta solo la bellezza oggettiva, quanto piuttosto l’intensità identitaria.

I suoi sono luoghi che parlano, ma non raccontano. Offrono semmai uno spunto di riflessione sentimentale da condividere con l’osservatore attraverso gli strumenti della contemplazione e della meraviglia. Le sue foto suggeriscono la complessità del paesaggio.

Cerca la luce radente per individuare i segni identificativi dello scenario: la superficie scabra di un vecchio tronco, la curva materna di una collina, la linea dolce di un viottolo che si fa strada tra l’erba dei campi, la resilienza di due alberi gemelli. Il suo stile interpretativo è segnato dalla nostalgia e dal recupero dello spleen romantico.

Per Riccardo Pesaresi lo scatto fotografico è consapevole e costante azione di verifica delle interazioni tra natura e cultura, misurate attraverso lo scarto delle diverse sensibilità e percezioni. Le ambientazioni, gli abiti, i colori rimandano a luoghi lontani e riconoscibili, ma non è l’esotismo la sua cifra stilistica, quanto piuttosto il linguaggio dei luoghi, le immagini mentali che suggeriscono, il sistema di informazioni che contengono.

La solitudine all’interno di un vagone di metropolitana non è la stessa del pastore che guida il suo gregge: chiusa la prima in una desolazione esistenziale, aperta la seconda a un rapporto fiducioso con la natura.

E’ il fotografo, addestrato a guardare, che guida e orienta l’interpretazione dell’immagine attraverso inquadrature dai risvolti sofisticati e contrasti programmati: suore vestite di bianco in mezzo a un prato fiorito e multicolore, coloratissime donne indiane all’interno di un loggiato di pietra bianca.

Gianluca Fenucci

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