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L’ARTICOLO Aumento dei prezzi e ambiente: serve sacrificio per le generazioni future

La ripresa produttiva generalizzata richiede tanta energia e per produrla bisogna fare i conti con l’inquinananto

Il mese di settembre di quest’anno sarebbe proprio un periodo da ricordare, con quell’infilata di belle giornate soleggiate prive dell’opprimente calura dei mesi precedenti, che alimentava una “dolce vita” fatta di apericena, vacanze e scampagnate, il tutto supportato da Super Mario (Draghi). Con la sua espressione sardonica, lui ci rassicurava snocciolando dati che parlavano di una crescita economica straordinaria in un contesto epidemiologico sotto controllo.

Poi all’improvviso, quasi come un tornado, all’orizzonte si profila un vortice minaccioso rappresentato da un grido di allarme: stangata in arrivo con il violento rincaro autunnale delle bollette di luce e gas! Nel vocabolario degli addetti ai lavori compaiono termini come energy crunch, supply chain break fino ad una parola coniata negli anni Settanta: stagflazione, che indica un fenomeno sintesi di due dinamiche apparentemente contrapposte come inflazione e stagnazione economica.

In parole povere tutto questo è il risultato di un improvviso quanto imponente squilibrio tra domanda e offerta di energia, materie prime, semilavorati, microchip e quant’altro capace di alimentare una preoccupante fiammata inflazionistica. La ricetta per interpretare il fenomeno prevede diversi ingredienti: il Covid-19, la transizione energetica, la rivoluzione digitale, la guerra fredda e anche un po’ di autarchia.

Il risultato lo possiamo sintetizzare in questo modo: la pandemia Covid-19 ha determinato il blocco produttivo e commerciale globale a partire dall’Asia, la ripresa sincrona a ritmi cinesi (5-6 %), specialmente dei Paesi avanzati irrorati da poderosi stimoli monetari, ha causato il collo di bottiglia odierno delle forniture.

Vediamo di analizzare le singole dinamiche, ma prima ritorniamo agli anni 70 quando la parola stagflazione si è affermata. Siamo alla fine del periodo ruggente degli anni ’60, caratterizzato da una vigorosa crescita economica che tuttavia sta scemando, determinando quelle inquietudini sociali che alimenteranno il movimento globale di protesta noto come il ’68“.

La benzina costa appena 180 lire il litro (circa 0,1 euro) quando arriva il primo shock petrolifero. L’Opec (il cartello dei produttori di petrolio) allora costituito esclusivamente di paesi musulmani, decide di sanzionare l’Occidente che nel conflitto arabo-israeliano si è schierato con lo stato ebraico, bloccando le forniture dell’oro nero. Il prezzo del petrolio cresce vertiginosamente, attivando una spirale inflazionistica, che sfocerà in una recessione economica.

Oggi la materia del contendere è soprattutto il gas metano che, vuoi per rinunciare al carbone (Cina), vuoi per rinunciare al nucleare (Italia, Austria e prossimamente Germania), rappresenta il presidio energetico principale.

Il più importante fornitore dell’Europa è la Russia ma esistono anche altre fonti come Olanda, Norvegia, Algeria ed Azerbaijan, il tutto collegato con un’intricata rete di gasdotti a cui si è aggiunto di recente il tubo Nord Stream 2. Ad aumentarne la disponibilità c’è pure lo shale-gas ottenuto negli Stati Uniti dalla frantumazione delle rocce di scisto che incorporano metano e petrolio (fracking), tecnologia fortemente inquinante ma, come dicevano i latini, pecunia non olet (i soldi non puzzano).

Allora perché tanta tensione sul prezzo? Perché, come abbiamo visto, la ripresa produttiva generalizzata richiede tanta energia, il tutto accompagnato da transizione digitale di per sé energivora, tensioni geopolitiche tra l’occidente e la Russia e, soprattutto, la transizione energetica.

Fino all’altro ieri il metano era considerato il combustibile più pulito perché non produce polveri sottili, né pericolose anidridi di zolfo e azoto ma semplicemente anidride carbonica e acqua. Oggi invece proprio la Co2 e il metano stesso vengono additati come gas capaci di causare il riscaldamento del pianeta mediante l’effetto riflettente degli strati che si concentrano nell’alta atmosfera.

L’Ue ha deciso di attivare il percorso che vedrà la riduzione dei gas a effetto serra del 55% entro il 2030, attraverso una tassa sulla Co2 prodotta che si riverbererà sulla bolletta energetica dei cittadini.

Per l’Italia è una bella botta alla luce della centralità del metano nel suo sistema energetico, tanto da averne sviluppato anche una tecnologia per l’autotrazione. Ma questa tassa, pur mettendo in conto tensioni sociali ed economiche che ne deriveranno, credo sia un sacrificio necessario per il rispetto delle generazioni future.

Bruno Bonci

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