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L’ARTICOLO Il mondo dopo la pandemia, attenti al Dragone

Non è irragionevole supporre che sarà la Cina a tirarci fuori dalle secche del post Covid-19

Il mondo su cui si è inserito il Covid-19 era stato in larga parte plasmato da dinamiche sviluppatesi dopo il collasso del sistema comunista sovietico basato sulla programmazione economica centralizzata (piani quinquennali) da parte di uno Stato ipertrofico.

Le istanze che si sono venute affermando si basano sulla marginalizzazione del ruolo dello Stato a favore del mercato e degli “animal spirits”, che hanno determinato una smodata concentrazione della ricchezza, la compressione delle retribuzioni dei lavoratori, l’affermarsi di corporations con bilanci a volte superiori a quelli di uno Stato nazionale.

Attraverso la delocalizzazione delle produzioni e il dirottamento degli utili verso paradisi fiscali, le corporation hanno causato l’incremento dei debiti degli Stati che si vedono costretti a supportare i disoccupati, e il welfare in genere, in un contesto di entrate tributarie decrescenti.

Il debito è diventato il leitmotiv di questo sistema e le banche centrali hanno sempre più assunto il compito di tenere il più basso possibile il costo degli interessi attraverso il quantitative easing

La stessa economia globale peraltro è stata trainata, nell’ultimo ventennio, da un tipico consumatore, prevalentemente americano, che ha fatto dell’uso disinvolto della carta di credito uno stile di vita. Questo ha determinato un sostanzioso deficit commerciale dell’America, finanziato da quei Paesi che hanno un forte surplus commerciale nei suoi confronti (Germania, Cina, Giappone), attraverso la sottoscrizione di titoli di stato (treasury). Si parla così di deficit gemelli, cioè sia commerciale, che delle partite correnti.

È lecito dubitare che questa situazione possa perdurare nel dopo Covid, lasciando immaginare il profilarsi di un nuovo scenario. Se dalla crisi post seconda guerra mondiale siamo stati affrancati dall’America attraverso il Piano Marshall, dalle secche del post Covid-19, sul lungo periodo, non è irragionevole supporre che sarà la Cina a tirarci fuori.

Potrebbe avvenire attraverso il probabile viraggio dell’economia cinese da uno schema orientato all’export a quello basato prevalentemente sui consumi interni. Sarà accompagnato da un grande spostamento di popolazione, in parte già iniziato, dalle campagne alle nuove città, progettate e organizzate quali smart city in termini di approvvigionamenti, trasporti, smaltimento dei rifiuti, spazi verdi, emissioni, connessioni digitali.

Un ulteriore e radicale processo di orientamento verso i consumi individuali, capace di coinvolgere un miliardo di persone, potrebbe porre la Cina al centro del sistema commerciale mondiale, sostituendosi gradatamente all’America. In tal caso anche il sistema valutario globale sarebbe rivoluzionato cosicché la valuta cinese yuan o renminbi, potrebbe affiancarsi e forse anche sostituire il dollaro Usa nel suo ruolo centrale.

La detronizzazione del dollaro significherebbe per l’America perdere il suo “exorbitant privilege” (Gisgard d’Estaing) di disporre della principale valuta di riserva mondiale, che gli consente di vivere molto al di sopra dei propri mezzi. Il motivo che ha determinato il collasso dell’impero romano, di cui l’America si ritiene (correttamente) l’odierna erede, cioè l’insostenibilità di un sistema militare planetario costosissimo, potrebbe di nuovo attualizzarsi con conseguenze geopolitiche profonde.

Ovviamente questo processo si svilupperà in più anni, ma l’America se ne sta già preoccupando e ha attivato un’aggressiva politica contenitiva della Cina che rischia di degenerare in un’escalation militare

Di questo speriamo che i nostri governanti se ne rendano conto e non si lascino coinvolgere in un conflitto devastante magari sotto la pressione della Nato.

Molte memorie e risentimenti ancora vivi nella popolazione cinese fanno ragionevolmente supporre che, quando la Cina avrà consolidato il proprio potere economico e militare, non rinuncerà a regolare un vecchio conto con la Gran Bretagna: l’umiliazione della “Guerra dell’Oppio.

Intorno al 1840 il Regno Unito impose militarmente alla Cina l’importazione dell’oppio con un devastante danno al tessuto sociale dell’intera nazione. È di quel periodo inoltre l’acquisizione inglese della colonia di Hong Kong che, sebbene nel 1997 sia stata restituita alla Cina, è ancora oggi fonte di conflitto tra i due Paesi.

In poche parole prepariamoci a ogni evenienza. Nel bilancio degli Stati una delle voci che stanno pesando sui deficit è quella degli armamenti, probabilmente sull’onda della locuzione latina Si vis pacem, para bellum (Se vuoi la pace, preparati alla guerra) ma in un mondo travagliato dalle probabili crisi sociali, la tentazione delle élite di scaricare all’esterno le tensioni interne è possibile.

In un contesto di competizione per l’egemonia globale le occasioni non mancano: si va dall’accesso a materie fondamentali come acqua, terre rare o chips, a quello verso delle vere e proprie giugulari geografiche come lo stretto di Malacca o di Hormuz.

Nei prossimi appuntamenti cercheremo di capire come il nostro Paese sarà, inevitabilmente, coinvolto in questo scenario.

Bruno Bonci

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