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JESI Giorgio Merighi, quando i sogni muoiono all’alba

Vedo il grande tenore immerso tra i fiori al Teatro Pergolesi, che era casa sua, tra una moltitudine di gente: poi all’improvviso arriva la sua voce, le prime note di “E lucevan le stelle”

JESI, 19 gennaio 2020 – Tanti, con cui ho in questi giorni scambiato parole velate di tristezza e di malinconia, hanno voluto ricordare con me Giorgio Merighi (nella foto in primo piano con Giovanni Meoni) e la sua morte, che ha creato un vuoto difficilmente colmabile nel mondo della lirica.

D’accordo, apparteneva alla vecchia scuola, ma, come mi dice il baritono Giovanni Meoni (foto in.primo piano con Giorgio Merighi), suo grande amico, in questi giorni a Torino per le prove di “Nabucco” con cui debutterà in febbraio, «era proprio quella vecchia scuola che formava i cantanti. Io e Giorgio abbiamo avuto lo stesso insegnante, il maestro Leondino Ferri, e ci legavano amicizia, stima e, se permetti, una preparazione profonda. L’ultima volta che ci siamo incontrati è stato nel 2017, quando io ero impegnato al Pergolesi con “La Traviata”. Abbiamo pranzato insieme a casa sua, riso e scherzato come una volta. Sono convinto che Jesi non potrà non ricordare e celebrare, con un omaggio musicale e lirico, Giorgio. Bene, al di fuori degli impegni già assunti, io sono disponibile a partecipare a una serata per Giorgio, sarebbe un onore. E con me certo tanti altri suoi colleghi».

Giorgio ha creato un “mito” intorno ai suoi personaggi interpretati e vissuti in ogni parte del mondo. Io non lo so se nessuno è profeta in patria, anche perché, pur essendo nato vicino a Ferrara, aveva eletto Jesi come “casa sua”, dove tornava sempre, perché qui aveva gli amici che lo avevano accompagnato sin dalla sua infanzia.

Merighi

Giorgio Merighi

Jesi era diventato il suo cordone ombelicale. Semplice e diretto, come ogni volta, si fermava lungo il corso dagli amici dell’ottica Focarelli, poi due chiacchiere con chi incontrava e lo salutava, per gli anni che ha trascorso come direttore artistico del Pergolesi gli sono grati tutti coloro che hanno potuto ascoltare grandi nomi, certamente venuti per l’amicizia con Merighi.

Ma se ripenso al panorama di affetto di quanti hanno preso parte al funerale, una cosa mi è mancata. Una nota stonata, secondo me, forse non voluta o neppure pensata da chi poteva o doveva farlo. Bisogna rispettare le volontà altrui.

Ma, se permettete, dico la mia, in libertà, perché lo vedo, come se sognassi, raccolto e immerso tra i fiori, in mezzo al Teatro Pergolesi, che era casa sua, e lì, solo lì, ricevere il saluto e l’affetto della sua Città.

Merighi

Giovanni Meoni e Giorgio Merighi

No, amici, non è, come sembra, una camera ardente ma una moltitudine di persone e personaggi della sua carriera che gli vengono a stringere la mano. E lui saluta tutti, felice, sicuramente, di quello che la Città gli sta tributando, nel suo luogo naturale. Dopo tutto quello che Giorgio ha fatto per lei, portandosela, nel cuore, per il mondo.

Per sempre vicino al profumo penetrante delle assi di legno che da secoli chiudono quel meraviglioso scrigno che è il Pergolesi. Immagino un attimo in cui il silenzio diventa più assordante. È il momento in cui da qualche parte arriva la sua voce, forte, naturale, la sua bellezza arresta quanti sono lì in fila: sembra salutarli, uno per uno, con affetto mentre, all’improvviso, si sentono le prime note di “E lucevan le stelle”. È lui, Giorgio, che canta da chissà dove, la gente si commuove, il Pergolesi, ammutolito, abbraccia il suo corpo e lo fa diventare un tutt’uno, una sua parte sostanziale e indimenticabile.

Ma era solo un sogno mio personale e, si sa, i sogni muoiono all’alba.

Giovanni Filosa

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