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JESI Il virologo Massimo Clementi: «Il Covid-19? Una vendetta della Natura»

Il prorettore jesino dell’Università San Raffaele di Milano mette in guardia dall’andamento bifasico di alcune epidemie e auspica una riapertura graduale delle attività

JESI, 4 aprile 2020È passato più di un mese dalla prima intervista che ho avuto la possibilità di realizzare con Massimo Clementi, professore ordinario di Microbiologia e Virologia all’Università Vita – Salute del San Raffaele di Milano, di cui è anche prorettore e direttore del laboratorio di Microbiologia e Virologia, jesino, spesso consultato dai media nazionali e internazionali circa il decorso del Covid-19, virus davvero intrigante, maligno e imprevedibile.

A che punto siamo è la domanda di questo inizio di aprile, dopo aver visto amici che ci hanno lasciato, dopo giornate trascorse in trincea, dalla quale non vediamo il nemico ma dentro la quale dovremo restare ancora fino… a quando?

«A oggi definirei “grave” il punto cui siamo arrivati, quanto meno dal punto di vista della diffusione. Non pensavo fosse così sistemica e capillare, colpendo tutti i Paesi con un effetto così importante. Perché questo è un virus che deve tutto il suo “successo” alla rapidissima diffusione. Un esempio ne è la dinamica velocissima di propagazione negli Stati Uniti in breve tempo. Forse è New York la città da cui tutto è partito, la più colpita, è una città grande, un fulcro mondiale. Nessuno avrebbe mai pensato a una velocità così devastante e questo dimostra che il coronavirus ha questa capacità assoluta. Chiaramente diventa un patogeno importante quando si manifesta in una forma polmonare che colpisce, vero, una minoranza di soggetti in un numero grande di infettati, ma rilevante per la mortalità che causa».

Si parla di picco, di pianoro, di collina da valicare. Cioè?

«Tutti attendono il picco dell’epidemia per valicare la collina, è ovvio. Ma appena fatto, è altrettanto importante, visto l’impatto economico e sociale, che ci siano misure per l’occupazione, per le aziende che da settimane non lavorano e non producono, e che quindi ci sia una graduale, magari a tappe, riapertura. Non possiamo stare molto tranquilli, però, perché finché ci sarà la circolazione virale c’è sempre una possibilità che una parte della popolazione si possa infettare di nuovo. Non sapendo quanti siano i soggetti infettati non sintomatici, sarebbe importante sottoporre un campione di popolazione, a test sierologico, per capire quanti si sono infettati, quanti hanno gli anticorpi e di questi, quanti erano quelli col tampone positivo. La differenza ti dà più o meno la proporzione di quanti sono stati, per un periodo, i portatori asintomatici. Che però hanno infettato gli altri

Non è che qualche Paese ha preso all’inizio sottogamba il pericolo della pandemia?

«Si tratta di gente che mette sul piatto da un lato la salute e la possibilità di bloccare questa infezione, dall’altro le conseguenze economiche che un blocco totale comporta. Questo il ragionamento di base. Ci sono attività completamente bloccate, che oltre un certo limite non possono andare avanti. Credo che anche da noi si deciderà una riapertura graduale, che speriamo coincida con la scomparsa di questa epidemia con la stagione estiva, che potrebbe aiutare, oltre a tutte le misure che sono state adottate fino ad oggi. Però ricordiamoci che molte epidemie, come questa, inclusa la famosa “spagnola”, sono durate tre, quattro anni, con un andamento bifasico, cioè prima saliva e poi scendeva giù, e poi riprendeva».

Mettere la parola fine è un’utopia?

«L’epidemia è un “caso” in più di quelli attesi. Quanti casi ci attendiamo da infezione di coronavirus? Zero. Il fatto che ci siano dei casi non deve essere tollerato».

Anche questa epidemia è sottoposta, purtroppo ad ingerenze, più o meno fuori posto, della politica

«Vero, ma non c’è stato soltanto in Italia, lo sciacallaggio politico è da incoscienti – e dico poco -, soprattutto non mi rendo conto di certe diatribe fra Regione, Stato Centrale, tra le Regioni stesse, con scelte diverse, come se ognuno volesse difendere il proprio territorio e basta. Qualcuno ha chiesto di ridare allo Stato tutti poteri che concernono la Sanità. Per le Regioni la Sanità, in questi anni, ha rappresentato oltre il 70% del bilancio annuale, ergo capisci come tutto questo si rifletta in certe scelte. Oggi c’è tanta gente che ha girato infettando gli altri. Per questo è necessario fare i test sierologici alla popolazione. Quali sono questi test? A oggi quattro Regioni hanno scelto per loro conto di farli e hanno cominciato ciascuno con un test diverso da quello degli altri. A parte che molti di questi test hanno un’affidabilità limitata, pensi che i risultati che ottieni nelle quattro Regioni siano omogenei fra loro? Per questo ci vorrebbe per lo meno unindirizzo centrale e poi le Regioni si dovranno adattare. Bisogna sbrigarsi, e presto. Penso che l’epidemia potesse essere anche gestita con unità di intenti e di metodi fra le varie Sanità».

Ma noi siamo pazienti o numeri?

«Domanda difficile! Noi siamo soggetti che se fossimo consapevoli che viviamo in un mondo che non è tutto dell’uomo, e non c’entra la politica, dobbiamo fare i conti con la Natura. Questa, sotto certi aspetti, è una vendetta della Natura, ed è la nostra colpa principale. Nella nostra disciplina, ho sempre cercato di far dialogare i virologi medici, che sono pochi, coi virologi veterinari, che sono ancora di meno. Perché? Perché è importantissimo che ci sia uno scambio di informazioni, di azioni. I veterinari sono quelli che curano gli allevamenti, curano polli e vitelli, e allora questo “One health”, cioè “gli sforzi collaborativi di più discipline che lavorano a livello locale, nazionale e globale, per raggiungere una salute ottimale per le persone, gli animali e il nostro ambiente, dovrebbe essere il punto di partenza. E non dimentichiamo il surriscaldamento dell’ambiente, l’inquinamento, le deforestazioni».

A Jesi, lo sai, si direbbe: “Non se ne pole più”. Sinceramente, tu come sei?

«Io sono sempre ottimista perché a mio avviso abbiamo le armi per poter cercare di sconfiggere questa epidemia. Servono solo pazienza e tanta forza. E so che Jesi si sta dimostrando all’altezza con il suo forte carattere e la sua personalità».

Giovanni Filosa

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