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Jesi “In the death of one”, l’orrore di Bergen – Belsen

Testimonianza a Palazzo Bisaccioni, lanciata verso le giornate della memoria, che rende onore a William Congdon, artista e ambulanziere nell’inferno del lager nazista nel maggio 1945

di Giovanni Filosa

Jesi, 16 gennaio 2023 – E’ tutto in quella frase, “la cancellazione dell’umano”.

Da lì si muove una piccola, solo all’apparenza, mostra/incontro che la Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi ha voluto ospitare (fino al 19 febbraio) nelle sale del suo Palazzo Bisaccioni, in questi giorni, e non solo, ricco di fermenti culturali.

Un palazzo che non si ferma mai.

E questa testimonianza, lanciata verso le giornate della memoria, rende onore a William Congdon, artista e ambulanziere nell’inferno di Bergen Belsen, maggio 1945. Americano, artista, pittore e scultore, viene fermato dalla guerra. Che lui aborrisce. Ma sa che deve fare qualcosa, non restare a vedere al cinema i cinegiornali che raccontano cosa sta succedendo in Europa.

Il nazismo, il fascismo. Si arruola come “ambulanziere” nell’American field service, insieme a tanti giovani, svolge il suo servizio in diverse campagne militari fino a che non si trova, nel maggio 1945, nel campo di concentramento di Bergen -Belsen, in bassa Sassonia, Germania.

Lì c’è l’orrore.

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Ci sono intorno e di fronte a lui oltre 60.000 persone, per lo più ebrei, ma anche prigionieri di guerra e civili, in preda alla fame, al tifo, ai maltrattamenti. Ecco, quello che ho visto e che vedrete, se volete, alla mostra intitolata “In the death of one” (In morte di uno), sono sculture, scritti e disegni, il suo “Male”, quello che gli ha trasformato la realtà in un incubo.

«Gli orrori della guerra, della disumanità in cui sei un numero – come ci ha narrato Primo Levi, ha detto l’assessore Luca Brecciaroli nel suo saluto d’apertura – che non lo lascerà mai».

Levi allora ci viene subito in mente, coi suoi versi.

Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: considerate se questo è un uomo che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, senza capelli e senza nome, senza più forza di ricordare, vuoti gli occhi e freddo il grembo, come una rana d’inverno”.            

Per non smarrire “l’unicità dell’uno”, simbolo unico della sofferenza che emoziona e coinvolge. Pagine e disegni che sono una memoria vivente, “un manicomio alla rovescia”, coi matti che curano i sani, ha detto il curatore Rodolfo Balzarotti.

«Kongdon ha voluto fare memoria di tutto quello che ha visto», ha proseguito.

Una narrazione spedita, coinvolgente, seguita in assoluto silenzio dai tanti intervenuti nella sala del consiglio di Palazzo Bisaccioni, arricchita e conclusa dall’intervento di Roberto Ruffino, segretario generale Fondazione Intercultura “The William G. Congdon Foundation”.

Ha spiegato cosa sia significata, dal punto di vista umano, l’esperienza di tanti giovani contrari alla guerra e a impugnare le armi, ma in prima fila per soccorrere i feriti e assistere i più deboli.

Ecco, i lavori che vedrete.

Ci sono scritti, ci sono sculture, tratti che fuggono veloci, per fissare un volto, uno stato d’animo che, forse, dopo pochi minuti avrebbe esalato l’ultimo respiro. Come ha detto in apertura il presidente della Fondazione, Paolo Morosetti, prima di cedere la parola al segretario generale Mauro Tarantino, «questi eventi che noi ospitiamo ci fanno e ci faranno prendere ancor più coscienza degli orrori delle guerre, che non dimenticheremo mai».

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