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JESI Per “Maria de Buenos Aires” tantissimi applausi

Al Teatro Pergolesi primo appuntamento con la Stagione Lirica di Tradizione, il “tango operita” spettacolo interessante che sorprende


JESI, 29 agosto 2021 – No so se Astor Piazzolla, il più illustre e profondo dei geni argentini del “bandoneon”, abbia mai voluto scrivere davvero un’opera. La sua formazione, solida comunque, magari glielo aveva ispirato ma l’Argentina era culla dell’ascolto dei grandi tenori o soprani, soprattutto italiani, che nelle loro tournée portavano laggiù in Sud America il “melodramma” vero e proprio, e sempre trionfalmente. Ma non della stesura o creazione operistica. Sta di fatto che l’altra sera abbiamo assistito a un interessante spettacolo, “Maria de Buenos Aires”, al Teatro Pergolesi, che dava il via alla stagione operistica.

Per la nostra base che intende “opera lirica” e la definisce in un sol modo, all’inizio poteva risultare spiazzante. In realtà, questo omaggio ad Astor Piazzolla nel centenario della nascita (1921), non è un’opera, lo stesso autore la definì tango operita, e forse aveva ragione se pensava, insieme al librettista Horacio Ferrer, a esempi da seguire (comunque lontanissimi, datemi retta) che Brecht e Weill (e non solo con l’ Opera da tre soldi ) o Bernstein (con West side story) avevano visto rilanciare o creare proprio in quegli anni Sessanta.

Altre implicazioni, altre musicalità di cui, a volte si sente l’influsso in questo lavoro. Come di valzer o, meglio, milonghe, che sono un’altra essenza dell’anima sudamericana. Facendo la tara su di un libretto incomprensibile, che forse voleva “omaggiare” i tempi in cui fu scritta, quando i Beatles cantavano “Lucy in the sky with diamonds” e Donovan “Sunshine superman” (ma ne cito solo due delle decine…) chiaramente con un linguaggio onirico che ha come funzione la derealizzazione di ciò che circonda l’essere umano e tutto quello in cui vive.

Un’arte fatta di capolavori creati (forse) sotto l’effetto di allucinogeni. La congiunzione di un libretto impossibile anche se tradotto al meglio, con la straordinaria musica di Piazzolla (mi viene subito in mente l’indimenticabile e fantastica esecuzione dell’Allegro tangabile) ha dato vita, dunque, ad una metafora della condizione umana che, come una matrioska, ne contiene un’altra, con riferimenti evidenti ai poeti e agli autori che si rivolgevano (e ancora per fortuna molti lo fanno) alla situazione in cui si trovano gli ultimi della terra. E a chi vive sospeso nelle peggiori bettole di Baires, fra musiche che prendono il cuore e il racconto di personaggi “vivi”, per i quali accoglienza e comprensione sono momenti quasi eucaristici che portano a prendere le distanze dal mondo di fuori e raccontare la figura di una donna, Maria, delle sue metamorfosi, del suo essere e non essere come una Madonna che vive la sua Pasqua di Passione.

Un’operetta, chiamiamola così anche se, ripeto, con il “nostroitalico modo di intendere tale forma straordinaria di composizione non lo contemplerebbe, che lascia dubbi interpretativi, ovviamente dal punto di vista della surrealtà dei momenti che scorrono come in un film tagliato da una luce quasi caravaggesca.

L’operazione (nel senso del tango operita) è indubbiamente inusuale, la paura di perdersi fra i movimenti e le frasi apparentemente senza senso che costituiscono il testo se ne va non appena comprendi dove vuole andare a parare Piazzolla.

In quelle bettole più o meno malfamate si muove una varia umanità, che si compatta attorno ai racconti del narratore inquieto e triste (tanto caro anche a Lorca), chiamato il Duende (altro brano bellissimo e la sua interpretazione della “Toccata rea”, in cui si sente “l’eco di un rosario di tango”), a ballerini e tangueri reali (non fichi da palcoscenico, nelle bettole ne trovi pochi…)  che vivono e scandiscono il lavoro.

Il risultato sorprende. La regista, scenografa e costumista Stefania Panighini ha dato la sua lettura di questa “operita”, per cui comunque è valsa la pena “di essere usciti di casa questa sera”, come afferma nelle sue note di regia. Buono il cast di voci, dal mezzo soprano Giuseppina Piunti, nel ruolo di Maria, al baritono Enrico Maria Marabelli nella parte di El Payador e Davide Mancini nei panni di El Duende.

Bene l’orchestra dell’Opera Giocosa diretta da Aldo Sistilio e ben armonizzato il tango proposto dal gruppo Coreaotango Asdf Gioki Danza. Tantissimi applausi.

Giovanni Filosa 

(foto di scena Stefano Binci)

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