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Cronaca

JESI Prese il pane, lo spezzò, lo diede…

«Un solo motivo ci guida: sostenere il nostro popolo, nutrirlo, come faceva Gesù»

di Gerardo Rocconi, Vescovo

JESI, 29 aprile 2020 – Confesso che di fronte alle parole del Presidente Conte che, domenica scorsa presentava il nuovo decreto sul “contenimento e aperture” in ordine al coronavirus, ho provato sentimenti vari.

Poi un po’ pensando, un po’ in ginocchio, ho cercato di raccogliere le idee.

C’è stata, dopo la promulgazione del Decreto, una dura nota della Cei, una nota in cui si dicono di fatto due cose: anzitutto che erano state spese parole diverse da quelle poi ascoltate e, in secondo luogo, che alla Chiesa deve essere chiesto di provvedere alla sicurezza come a tutti, ma non possono essere altri a decidere cosa si fa dentro la Chiesa, altrimenti si è fuori del dettato costituzionale.

È stato un intervento deciso, direi duro. Come mai? 

Nei giorni precedenti, come avevo potuto precedentemente leggere nel comunicato settimanale della Cei ai vescovi, c’erano stati fitti e intensi contatti fra rappresentanti Cei e rappresentanti del Governo, fino al punto che il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese aveva parlato di studio per arrivare ad una riapertura delle celebrazioni. Tutto in fumo! Parole spese, ma disattese con la conseguenza della sfiducia.

Ma poi non dimentichiamo quanto dice la Costituzione all’art 19: Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume.

 

Una restrizione prolungata di questi diritti fondamentali non è lecita a meno che non ci siano motivi di massima sicurezza. Se per altre realtà una soluzione per garantire la sicurezza si è trovata, il non provarci nemmeno, per quanto riguarda la sfera religiosa, è grave, soprattutto dal momento che la Cei aveva presentato una serie di provvedimenti da mettere in atto per garantire la difesa dall’infezione. 

Il fatto che appena due ore dopo la nota Cei il governo affermava che nel giro di pochi giorni ci sarebbe stato un protocollo volto a ristabilire le celebrazioni, pone interrogativi. 

Vuol dire che la reazione della Cei non era attesa e, soprattutto, vuol dire che i problemi sollevati dalla Cei erano veri. Ma allora perché il Premier o chi per lui non ci aveva pensato prima? La risposta la possiamo immaginare.

Si confidava, in nome della collaborazione, ancora sul silenzio della Cei. Ma non era possibile, dal momento che il Presidente non aveva brillato per lealtà. Infatti, mentre presentava il Decreto aveva rivolto un sentito ringraziamento alla Cei per la collaborazione, lasciando così intendere che quella scelta di non aprire alle celebrazioni era stata presa insieme. Sarebbe stato molto più leale se il Presidente avesse detto: “Sono in disaccordo con la Cei, ma la mia responsabilità mi chiede di dover fare questa scelta e le scelte dell’autorità non sono sempre popolari”.

Tanto di cappello! L’obbedienza e la fatica di essere autorità la conosciamo bene!

Veniamo ad un nostro discorso, interno alla Chiesa. Noi pastori non possiamo disattendere una richiesta, anzi un grido che viene dalla nostra gente. Il grido di chi chiede di poter partecipare alla S. Eucaristia.

Questo digiuno eucaristico ci ha fatto riflettere sul valore della famiglia, chiesa domestica e ci ha fatto capire l’importanza del pregare e ascoltare la Parola di Dio in casa. Cose buonissime. Infatti il digiuno, di ogni tipo, ha senso per riequilibrare le cose, ma poi basta. Il digiuno per natura sua è di un momento. Se si prolunga conduce alla morte. Bisogna riprendere a nutrirsi.

Del resto è quello che ascoltiamo nei brani evangelici di questa settimana. Gesù parla di fede, parla di accoglienza di Lui e della sua Parola, poi parla della necessità del mangiare la sua carne, perché solo chi ne mangia ha la vita eterna: insomma parla dell’Eucaristia.

Noi sacerdoti ci siamo domandati perché con forza chiediamo la possibilità di poter celebrare la S. Messa con il popolo. Deve essere chiaro il motivo e non può essere che uno: obbedire alla parola di Gesù che dice: “Prendete, mangiatene tutti: questo è il mio Corpo. Prendete, bevetene tutti: questo è il mio sangue. Fate questo in memoria di me”. 

Proprio il giorno in cui è stato emanato il Decreto del Presidente del Consiglio,  abbiamo letto il vangelo dei discepoli di Emmaus dove ci si dice che Gesù viene riconosciuto nello spezzare il Pane, nella S. Cena. Senza retorica, con profonda convinzione ricordo le parole dei trentanove cristiani di Abitene, sorpresi in una casa a celebrare l’Eucaristia e poi tutti uccisi per la loro trasgressione, compreso il bambino presente: “Sine dominico non possumus: Non possiamo vivere senza ciò che riguarda il Signore risorto: senza la domenica, senza l’Eucaristia”. 

Un po’ di digiuno eucaristico sicuramente poteva farci bene per i motivi detti. Ma chi con troppa disinvoltura ha affermato che non fa niente se non si celebra la Messa, dal momento che si può pregare anche a casa, forse non ha mai vissuto in profondità l’Eucaristia, altrimenti non si sarebbe permesso quelle parole; forse dimentica che la Messa non è una preghiera, ma è soprattutto un incontro, una esperienza forte che sostiene la vita. 

Non dimentichiamo mai  quelle parole di Gesù: “Senza di me non potete far nulla. Chi mangia di me, vive per quella forza che io gli do”. E anche su queste parole i credenti impostano la loro esistenza. Un esempio per tutti: oggi noi vediamo che la Caritas, proprio per la sua capillarità, è fra le prime realtà a livello nazionale, se non la prima, nel servizio agli ultimi, agli invisibili, a quelli che in questo momento tragico non potrebbero vivere, ai senzacasa ecc. Non è possibile cercare la collaborazione della Chiesa nella sua dimensione caritativa e poi toglierle l’ossigeno e asfissiarla nelle motivazioni che la sostengono. 

Cosa accadrà adesso? Qualunque cosa accadrà sarà amara. Se non si muove nulla, sarà amaro perché non si muove nulla. Se da lunedì prossimo, vista l’ultima dichiarazione in retromarcia del Governo potremo celebrare con il popolo, accanto alla gioia della ripresa, ci sarà comunque la tristezza di un qualcosa ottenuto perché si è alzata la voce e si darà l’immagine di una Chiesa come una realtà che cerca privilegi, mentre lotta solo per servire il popolo. 

Ora qualche politico “cavalcherà” questa situazione. Noi vescovi non intendiamo essere strumentalizzati. Su questo argomento, quello delle celebrazioni liturgiche, ci rappresentiamo da soli. Infatti un solo motivo ci guida: sostenere il nostro popolo, nutrirlo, come faceva Gesù: con la Parola e con il Pane.  

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