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Attualità

L’ARTICOLO La morte, cifra dell’esistere umano

Il tempo incerto e triste che viviamo, con la conta dei ”deceduti”, ci impone di dare un nome a ogni persona che muore

La morte si presenta come una tematica che inquieta e insieme affascina: basti pensare alla sua presenza in film, musiche, romanzi. Nello stesso tempo viene sempre più rimossa dall’immaginario quotidiano, considerata come un accadimento che riguarda solo altri.

Nella prima e in questa secondata ondata di pandemia per Covid-19, giorno dopo giorno veniamo a conoscenza di numeri di decessi, con gli estremi di età (da… a…), senza volti, senza poter esprimere pietà e dolore. Nella prima ondata vedevamo camion che trasportavano bare… ora cerchiamo conforto dalla somministrazione del vaccino, che hanno ricevuto centinaia di persone, ma il numero dei morti è sempre alto… Il contagio per Covid si propaga con molta velocità e in modo insidioso nelle strutture protette per anziani, nei nuclei familiari e in altri contesti di vita e di lavoro.

La morte è la fine dell’esistenza corporea e può arrivare nelle nostre vite attraverso la perdita di persone per noi importanti, attraverso una diagnosi infausta che riguarda noi o altri oppure, più semplicemente, condizionarci con la paura di morire o che altri muoiano.

Quando si verifica la morte di una figura significativa (un genitore, un figlio, un fratello, un amico particolarmente caro), l’assenza fisica crea una intensa sensazione di mancanza e una acuta sofferenza sia psicologica che fisica, che si può esprimere con la chiusura psichica, accompagnata dal disperato desiderio di non andare più avanti, di non vivere più senza colui/colei che era così importante da rappresentare non solo un affetto, ma anche un punto di riferimento e di appoggio.

In generale di fronte alla morte dobbiamo confrontarci con qualcosa di troppo grande e sul quale non abbiamo nessun potere e alcuna possibilità di agire. Nei nostri pensieri si affacciano dubbi, incertezze, ansie; le condizioni iniziali subiscono cambiamenti e dobbiamo riorganizzare la nostra vita pieni di timore.

Come non riflettere sulla morte?

Scrive Mogol (autore di centinaia di testi di canzoni): «La gente fugge spesso il pensiero della morte. Io la vedo come un confine, e penso che sia giusto prepararsi a questo momento senza nascondersi. Mi pongo in modo positivo nei suoi confronti. Questo è anche dovuto al fatto che ho sempre vissuto la vita e il creato come qualcosa di rassicurante. Bisogna affrontare la morte come un processo naturale. Come tutte le cose che non conosciamo, la demonizziamo. Se tu ai bambini piccoli dai qualcosa che non conoscono, ti dicono che non gli piace. E noi siamo così. Per questo la morte ci terrorizza. Però ci tocca. Per me la vita è una cosa meravigliosa. Il gusto di mangiare un piatto di pasta asciutta, di prendere il sole… questa carezza calda, il mangiare le ciliegie, dormire quando sei stanco. La vita la riceviamo. Perché allora dobbiamo temere la morte? Sento la morte come conseguente alla logica di quello che abbiamo vissuto. Il nostro sguardo non può abbracciare la totalità, e dobbiamo accettare che non ci è possibile capire, ma solo intuire. Così per la morte. Ne ho parlato in alcune canzoni. Ad esempio, in Dormi amore, una delle canzoni a cui sono più legato in assoluto, che ho dedicato a mia moglie Daniela. È la dichiarazione d’amore di un uomo che si preoccupa di cosa accadrà alla sua donna dopo che lui sarà morto. Nella canzone un uomo in pigiama riflette, affacciato alla finestra, mentre la donna dorme e le promette di non abbandonarla, di rimanere sempre con lei, anche se in forma diversa:

Con l’aiuto dei gabbiani disegnerò / Impossibili figure / Che potrai interpretare. / Dormi amore / Non ti svegliare / No, non temere / Con altre mani ti accarezzerò / Io ci sarò. / Ovunque tu sarai / Il mio respiro sentirai.

Nel periodo della prima terribile ondata di pandemia per Covid-19 è morto un amico carissimo, e non ho potuto fare a meno di rivolgermi alla morte come colei che strappa via la vita.

O morte!
Dov’è la tua vittoria?
Perché sei nemica della vita?
Il tuo pungiglione
attacca la fragilità dell’uomo,
di coloro che incontri sul tuo cammino.
Ferisci l’esistenza
e chiudi nelle bare i nostri cari;
ma in quelle tombe
è entrata la Vita,
combatte contro di te
attira a Sé ogni esistenza
che noi piangiamo.
Un nobile posto nel Cielo
dell’ultimo orizzonte
Dio ha preparato
a colui che tu hai avvolto
con il freddo della notte.
Sei sconfitta nel cuore di chi crede,
sei raminga sulle strade
nelle case, nelle corsie;
sei impietosa,
ma più forte di te è l’Amore.
Se ne vanno in punta di piedi,
i nostri cari,
i vecchi, i più giovani,
lasciano il vuoto della relazione,
degli amori che generano vita.
Tu sposi virus e malattie incurabili,
violenza e odio,
vecchiaia ed embrioni.
Sei ombra nemica della creazione
invidiosa della bellezza
alleata di ogni tragedia
generatrice di pandemie;
sei aculeo annientato dal Risorto.
Ogni giorno cantiamo alla vita,
nelle tenebre scorgiamo i fratelli,
che tu provi con il dolore;
con le lacrime fecondiamo
semi di speranza,
nella nuda terra arata dallo Spirito
radici di una nuova primavera.
Dov’è allora
o morte la tua vittoria?

(muore un amico per Coronavirus)

La concezione cristiana della morte

In una sua catechesi Papa Francesco ci ricorda che «la morte è un’esperienza che riguarda tutte le famiglie, senza eccezione alcuna. Fa parte della vita; eppure, quando tocca gli affetti familiari, la morte non riesce mai ad apparirci naturale. … Tutte le volte che la famiglia nel lutto – anche terribile – trova la forza di custodire la fede e l’amore che ci uniscono a coloro che amiamo, essa impedisce già ora, alla morte, di prendersi tutto. Il buio della morte va affrontato con un più intenso lavoro di amore. … Nella luce della Risurrezione del Signore, che non abbandona nessuno di coloro che il Padre gli ha affidato, noi possiamo togliere alla morte il suo “pungiglione”; possiamo impedirle di avvelenarci la vita, di rendere vani i nostri affetti, di farci cadere nel vuoto più buio».

Un epitaffio dell’antica Chiesa romana, del tempo di Papa Leone I, esprime sinteticamente la concezione cristiana della morte. All’accettazione della legge della natura, il presbitero Tigrino, sepolto in un cimitero della via Latina, fa seguire, nell’iscrizione da lui dettata, la professione della sua fede: «Per la mia sorte ultima non ho timore alcuno, unica speranza per me di salvezza è infatti Cristo, sotto la cui guida la morte muore». (in Oss. Rom., 25 aprile 2008, 5)

Nel testo risuonano la speranza e la gioia insegnate dall’Apostolo Paolo: «La morte è stata inghiottita nella vittoria». (1 Cor 15,54)

Il tempo incerto e triste che viviamo, con la conta dei ”deceduti”, ci impone di dare un nome ad ogni uomo e ogni donna che muore. Dare un volto, nel Volto di Colui che prima di noi ha vissuto la morte e l’ha annientata con la sua Resurrezione. Siamo chiamati anche a raccogliere in un unico grande grembo d’Amore le lacrime e le preghiere di tutti coloro che hanno gridato e che gridano ancora “Dio mio, Dio mio… non mi abbandonare!”.

Sarebbe proprio bello se inventassimo un monumento alle lacrime e alle preghiere delle migliaia di persone morte nella più nuda solitudine e triste abbandono, a motivo della pandemia. Tutti, credenti o meno, hanno pregato intensamente sul letto del dolore, fino all’ultimo respiro.

Ciò che dà un senso alla vita, lo dà anche alla morte. (Antoine de Saint-Exupéry)

Anna Maria Vissani

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