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JESI Al “Piccolo” un giro del mondo per la mente e per l’anima

Con la Scuola “Crescendo” della pianista Marta Tacconi a conclusione di un anno di studi non solo musica ma anche riflessioni profonde

JESI, 28 giugno 2021 – Il giro del mondo in 88 tasti”, partito da Il Piccolo di San Giuseppe, ha concluso un anno di studio che gli allievi della Scuola Crescendo di Marta Tacconi hanno portato avanti con tutta la forza possibile di fronte agli artigli che la pandemia mostrava giorno dopo giorno nell’inverno del nostro scontento. 

Un traguardo voluto e che, per questo, doveva avere una struttura diversa dai saggi di fine corso di cui ha mantenuto in parte la struttura ma non lo scopo.

La pianista Marta Tacconi ha impostato il copione presentando uno spettacolo completo, con uso di musica, parole, introspezioni, riflessioni, sguardi. In questo è stata affiancata dall’attore Antonio Lovascio, che si è sentito complice e, allo stesso tempo, passeggero nella cesta che, ondeggiando fra i tasti del pianoforte, riesce a portare a termine la missione di scoprire il potere di quegli 88 denti, bianchi e neri, che servono per afferrare il mondo dal verso giusto

I giovanissimi e i più avanti con lo studio si sono alternati sul palcoscenico insieme a Lovascio. Lui, con un suo testo profondo, universalmente sociale, viscerale, ha riversato il suo pensiero verso le menti della platea che si sono subito accorte di non assistere al consueto e anche emozionante gioco di piccoli musicisti crescono, bensì a trovarsi di fronte a riflessioni profonde, incontrate nel Giro del Mondo. 

Ecco allora le guerre, le pandemie, i disastri ecologici, gli odi razziali, la voglia di trovare nella musica quella panacea che cura la mente perché la apre, facendoti vivere le sensazioni, di fronte al pianoforte, le più disparate.

Un testo su cui riflettere al quale ogni allievo ha, inoltre, partecipato, aggiungendo un proprio scritto e una propria impressione sulla vita quotidiana e come la musica gliel’ha cambiata. 

Giorgia Magliola, Ida Romano, Francesco Bugatti, Emma Perticaroli, Ludovica Sofia Medici, Sara Magliola, Edoardo Vignati, Alice Rocchetti, Geremia Nocelli, Bianca Branchesi, Silvia Segnan, Giorgia Branchesi, Anna Ferretti, Vanessa Giulioni, hanno non solo suonato la loro partitura.

A casa hanno “decifrato” a modo loro l’importanza della musica con pensieri stupendi, creati a occhi e mente aperti. E queste riflessioni le ha lette, una per una, Lovascio, gettando i presupposti per tutti, anche per i genitori stessi che si trovavano in platea, per fargli conoscere meglio l’anima del proprio figlio o figlia mentre si abbandona e fa volare la mente e il cuore verso la magia della musica che evade dalle dita poggiate sulla tastiera.

Marta Tacconi e Antonio Lovascio

Articolato a incastri, scorre un copione che meriterebbe qualche replica, anche se di questi tempi è impossibile, fortuna la disponibilità de Il Piccolo, che è fornito di tutto quello che serve per fare teatro

Pubblico coinvolto sino in fondo, tutti da abbracciare … virtualmente gli interpreti dello spettacolo, in particolare Marta Tacconi, che con la solita caparbietà, è riuscita a trasformare un saggio in una riflessione corale e, al contempo, intima, di ogni musicista, dai 7-8 anni in su.

C’era chi si aggrappava quasi al pianoforte, c’era chi lo districava chiedendogli il massimo, ormai padrone o padrona degli 88 tasti.

Chiaramente non poteva non finire con un finale che ha visto Marta esibirsi, con una veemenza quasi trasfigurante, in “Miserere d’après Palestrina”, di Franz Liszt, e anche gli artisti che hanno esperienza di palcoscenico di prosa, vedi Lovascio, hanno alla fine scaricato la dose di adrenalina che un impegno del genere procura.

Missione compiuta, direbbe Phileas Fogg, l’eroe del romanzo di Jules VerneIl giro del mondo in 80 giorni”.

Fra i presenti sul palcoscenico, dicevamo, una poetessa che in molti conosciamo: era lì, a battere sui tasti, a catturare emozioni, Silvia Segnan, un talento che potrebbe aprire l’orizzonte dell’arte. Un esempio, uno dei tanti, di come i ragazzi seduti sullo sgabello abbiano personalmente interpretato la loro visione del messaggio universale che propone la musica. Un esempio, dicevo, poeticamente profondo: nessuno si senta escluso

Dove mi porta la musica, di Silvia Segnan

Mi occorre un pianoforte, una stanza vuota. Pareti bianche, un pavimento ligneo. E poi un’anima lontanissima. A cui dedicare un’emozione, un respiro, due occhi ridenti, due mani sottili. A cui confessare, a cui chiedere ascolto e dove cercarlo. Non serve altro, per ora. Dal primo suono all’ultimo. Inizia da qui il viaggio dei desideri, quello che scorre leggero su pochi tasti, non ne occorrono molti. Ne sfioro alcuni e mi ritrovo già dentro un cielo turchino fatto di stelle piccolissime, quelle stelle che creano l’attesa, la poesia. Un notte irrisolta dove tutto può cambiare, tutto si tange, tutto si compie. Chiara metafora della vita, dove puoi costruire una meta, ci puoi inventare un tragitto, con fare andante, oppure lento, ad intervalli allegro. All’improvviso tutto si modifica da sé e le note strillano, si susseguono frettolose. Un nuovo avviso. La musica mi porta quasi su un altro emisfero, esistono orizzonti mai osservati, confini mai varcati che posso portare con me, lo sgabello qui, è solo un fatto di circostanza. Perché io mi ritrovo sospesa in uno stato di gratitudine e distrazione, una sorta di infinito che mi vuole perduta e assente ai tepori impavidi del tempo. Che fugge e che la musica dissuade. Comprendo che è già maestra, può guarire, è l’arte illustre che attraversa il corpo e lo spirito, allevia mancanze, purifica i disagi interiori. Quelli radicati. Inizia lento il godimento e si prosciuga parte di me. Mi abbandono prigioniera alle poche note che conosco e le racchiudo nel mio idillio segreto. Gioisco nel sapere che la musica parla più della vita, comunica senza l’uso di parole, avvicina ai sentimenti da chiarire, rende chiari i sentimenti da dichiarare. La musica insegna a vivere, io la seguo fiduciosa e (ahimè!) ancora inesperta. Una piccola operaia, qual sono. Che vive ancora di sogni.

Giovanni Filosa  

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