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Calcio in lutto Addio Gigi Riva, perennemente campione

Scudetto col Cagliari e protagonista in maglia azzurra, Rombo di Tuono ha regalato emozioni e gol a generazioni intere

Lettori, spero perdonerete una divagazione dal nostro amato mondo locale, per celebrare un monumento nazionale, una creatura immensa figlia del Dio Eupalla. Allo stesso modo, chiedo venia se l’anagrafe non mi consente di sciorinare ricordi live di Gigi Riva.

Anzi, di gigiriva, rigorosamente tutto attaccato, come è stato sempre scandito il suo nome. Il maestro Gianni Brera lo aveva appellato come rombo di tuono. Un tatuaggio indelebile che porta la mente a immaginare un boato, un frastuono improvviso, un’esplosione. Mai soprannome fu più esplicativo e didattico nell’ambito sportivo. Dominante, spietato, trascinatore, essenza del centravanti di ieri e di oggi, gigiriva ha segnato un’epoca, un sogno che riempiva gli occhi e l’anima degli appassionati. Lui, nato sulla riva del Lago Maggiore con vista sul Piemonte, divenne simbolo ed emblema della Sardegna, abbracciando tutto il Paese.

A Cagliari, o meglio Casteddu, capoluogo fino ad allora deriso per la tradizione pastorizia della regione, distrusse la cortina di ferro delle potenze del Nord, e conquistò nel 1970 uno scudetto dal sapore magico.

Un’affermazione che a suo modo portava a compimento una rivendicazione storica e geografica. L’impresa compiuta a suon di gol, insieme ai suoi gregari di lusso, compagni di squadra e di vita; Ricky a volare tra i pali, Capitan Cera, il rude Comunardo, il Domingo a svolazzare sulla fascia. Taciturno e schivo, scelse di rinunciare a trofei e tanti denari per rimanersene eternamente fedele a un’idea, a una terra, a un’isola e alla sua gente. Ma con la maglia azzurra si consacrò davvero come l’idolo di tutti, credenti o pagani, pallonari o profani.

Campione d’Europa nel 1968 e protagonista della Partita del secolo, doverosa la maiuscola: ltalia-Germania 4 a 3

«Che meravigliosa partita, ascoltatori italiani» esclamò con voce palpitante Nando MartelliniEmozioni che mio padre, adolescente di allora e mangiatore di cuoio rotolante, uno dei tanti e come tanti, per giunta di calcio mancino proprio come Gigi, ha sempre cercato di tramandarmi con cura e dolcezza.

«Avevo un sogno, giocare con le scarpette di gigiriva, le mitiche Pantofola d’Oro con la sua firma stampata – raccontava Riccardo Pigliapoco –, il problema è che nella piccola Jesi si faceva fatica a reperirle, e per giunta erano parecchio costose. Arrivò Natale, e zia Anna, direttamente da Roma, me le regalò. Ero il monello più felice del mondo. Le guardavo prima di addormentarmi. Le ho consumate. Ho toccato il cielo con un dito» .;

Gigi Riva ricoprì successivamente i ruolo di Team Manager della Nazionale. L’adolescente intanto ero diventato io, e l’immagine delle lacrime condivise con Franco Baresi dopo i maledetti rigori di Pasadena nella finale mondiale di Usa 94, non possiamo ancora oggi dimenticarla.

Caro gigiriva, ovunque tu sia, in cielo o chissà dove, con il tuo sguardo fiero, la potenza del sinistro e la bellezza dei tuoi gesti, ricordati di insegnare ai giovani a essere campioni, nello sport e nella vita.

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