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JESI A “Jesi barocca” Vespetta minaccia il divorzio… 300 anni fa

I primi albori dell’Opera Buffa, giovedì 23 il gioiello di Albinoni, che anticipa “La serva padrona” di Pergolesi, al Teatro Il Piccolo

JESI, 20 settembre 2021 – Settima produzione del Festival Barocco delle Marche, il nuovo cartellone prodotto dalla Fondazione “Alessandro Lanari” con il sostegno di Regione Marche e vari Comuni del territorio che sta procedendo con un travolgente successo in tutta la regione.

Arriva a Jesi uno spettacolo in esclusiva –in sinergia con la Rassegna “Jesi Barocca” che porta il pubblico ai primissimi albori dell’Opera Buffa, addirittura 25 anni prima della famosa “Serva padrona” di Pergolesi.

In programma giovedì 23 settembre alle ore 21 al teatro “Il Piccolo”, si tratta di Pimpinone, deliziosa partitura di Tomaso Albinoni che il direttore artistico del Festival, Gianni Gualdoni, ha voluto proporre anche in omaggio al compositore veneziano, per ricordarne il 350° dalla nascita che ricorre quest’anno.

Protagonisti dello spettacolo – che per gli impedimenti della pandemia si tiene in forma di concerto – due interpreti emergenti nel panorama lirico nazionale, di spiccata vocalità e specialisti del genere: Aloisa Aisemberg nel ruolo di “Vespetta” e Niccolò Porcedda in quello di “Pimpinone”, con la rodatissima Orchestra Barocca delle Marche diretta al cembalo da Lorenzo Antinori.

Teatro Il Piccolo

Pochi i posti disponibili: ingresso € 10, con prenotazione obbligatoria al 338 838 87 46[email protected].

La trama

L’astuta cameriera Vespetta riesce a farsi assumere dal ricco e attempato Pimpinone; lamentando poi l’esistenza di voci diffamatorie sulla situazione domestica, con promesse di modestia convince il padrone a sposarla. Una volta maritata, la ragazza rivela volto di donna volubile e capricciosa, incline a spese folli e divertimenti fuori casa. Pimpinone, messo alle strette dalla consapevolezza della donna circa i propri diritti, dovrà subire e cedere alle sue rivendicazioni di emancipazione.

L’intermezzo

Nato come intermezzo della opera Astardo dello stesso Albinoni, con debutto a Venezia nel 1708, Pimpinone è l’unico suo titolo teatrale integrale rimasto, a parte un’opera giovanile e qualche aria sparsa dalle opere maggiori. Accolta subito con grande favore, ebbe immediata ampia diffusione autonoma in Italia e in tutta Europa.

Come  La serva padrona di Pergolesi, ma un quarto di secolo prima, Pimpinone presenta spiccata teatralità della musica, che la pone agli albori –i primi albori – dell’opera buffa

Una scrittura musicale che è essa stessa drammaturgia, incarna atmosfere e fisicità del libretto, descrive racconto narrativo, psicologia e carattere dei personaggi, azione scenica, spesso suggerendone perfino i gesti: in una cesellata unità tra posa teatrale e suo dettato sonoro, memore dell’antica teoria degli affetti, su cui si innesta in più il realismo della quotidianità che già prelude ai successivi modi dell’opera buffa.

Prima di Pergolesi

Lavoro oggi di rara esecuzione, seppure molto elegante e raffinatoPimpinone è importante perché 25 anni prima della Serva padrona di Pergolesi (1733) segna in teatro le dinamiche dell’affermazione femminile nella società: secondo l’antico schema dialettico “donna giovane povera” e “uomo anziano abbiente”, ma arricchendone il dato puramente antropologico e sociologico con un senso civico ben più avanzato e consapevole di quello della Serva, forse proprio a motivo dell’ambiente culturale e sociale veneziano per il quale l’opera è scritta.

La storia –testo del rinomato librettista Pietro Pariati – presenta un’inedita modernità nella realizzazione sociale della donna comune che, insieme alla consueta scaltrezza da vivace servetta, racconta l’affrancamento “per legge” della condizione femminile: con spregiudicata coscienza civica, Vespetta arriva infatti ad avanzare al coniuge esplicita richiesta di autonomia (“già lo sai, vo’ libertà”) e a dichiarare che “compagne son le mogli e non già schiave”, affrontandolo non con le sole topiche armi femminili di seduzione o lacrime, ma in punta di diritto, con l’aperta minaccia di chiedere il divorzio: un retroterra culturale impensabile nella Serva, come nella società del tempo del Regno di Napoli o dello Stato Pontificio.

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