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Jesi “Come spiare le lucciole”, Carlo Cecchi racconta il romanzo di Graziosi

A Torre di Palme i due artisti jesini hanno presentato il quadro ispirato al romanzo “Sangue di rosa scarlatta”, una mostra itinerante, il ricavato della vendita andrà al Centro Internazionale per la pace dei popoli di Assisi

Jesi “Come spiare le lucciole” è il titolo dell’opera che Carlo Cecchi, il noto artista jesino, ha realizzato ispirandosi al libro di Vittorio Graziosi Sangue di rosa scarlatta e che è stata presentata domenica scorsa 24 settembre a Torre di Palme (Fermo) nello spazio espositivo dell’Oratorio di San Rocco.

«Un’opera nata dalla profonda amicizia che ci unisce – ha spiegato lo scrittore Vittorio Graziosi nel corso della presentazione -. Cecchi dopo aver letto il mio romanzo, ha voluto tratteggiare con una sequenza esplosiva le sensazioni che il libro gli ispirava. Un lavoro su foglio nero con matita bianca perché le lucciole rappresentano meglio di ogni altra cosa l’idea di resistenza al buio, la speranza di luce e di passione visto che producono luminescenza grazie al loro bisogno di riprodursi».

Il quadro dalle dimensioni imponenti (3x2mt) offre un colpo d’occhio sulle potenti tematiche che emergono dal racconto di Graziosi lavorando sul potere evocativo dei dettagli.

La storia narrata da Graziosi è ispirata alla volontà di trovare una soluzione al terrorismo di cui è vittima il protagonista del racconto, che proprio per un atto terroristico ha perso il suo unico figlio, una storia che racconta il processo di sanificazione di un dolore inguaribile, che prima si trasforma in rabbia e poi in desiderio di vendetta nei confronti del figlio del terrorista. E che, proprio nel momento di consumarla, trova il coraggio di non perseguirla e di scegliere la pace.

«Sono partito dal centro del quadro prefigurando una sorta di esplosione – ha spiegato Carlo Cecchi – in cui esprimo il dolore e il riscatto che emergono dal racconto, attraverso l’estraniamento dalla storia con la rappresentazione dei dettagli. Il dettaglio ha il fascino particolare di riassumere un’identità legata a uno stato d’animo. E’ una tecnica che amo molto rispetto alla rappresentazione della narrazione».

Carlo Cecchi e Vittorio Graziosi

«Il nero del quadro non rappresenta la morte evoca la notte, il buio, ma anche la sensazione di vuoto che ho provato leggendo il racconto. Un vuoto riscattato dalla luce delle lucciole, una luce di speranza, di vita, di bene».

Proprio come la speranza del riscatto che il protagonista preferisce alla vendetta.

L’opera resterà esposta a Torre di Palme per questa settimana, poi sarà trasferita ad Assisi e farà tappa in altre città del centro Italia. Il ricavato dalla vendita dell’opera sarà devoluto al Centro Internazionale per la pace dei popoli di Assisi.

Alla presentazione di domenica erano presenti anche Maria Teresa Berdini di Società Operaia di Torre di Palme, che ha provveduto all’organizzazione dell’esposizione e il critico d’arte Gabriele Bevilaqua.

«Scrittura e pittura: strumenti dell’anima complementari – ha detto Bevilaqua -. Ma può la pittura tradurre senza tradire il pathos narrativo di una racconto che sarebbe piaciuto a Dostoevskij? Può il carboncino restituire un episodio peraltro realmente accaduto negli anni bui del terrorismo fondamentalista? Può restituire il doloroso cammino di un padre dall’iniziale istinto di vendetta al superiore perdono? Forse meglio della pittura può la musica o il teatro?».


«Per capire il felice incontro fra il maestro Carlo Cecchi e lo scrittore Vittorio Graziosi, nel raccolto spazio dell’Oratorio di San Rocco a Torre di Palme, bisognava aver letto il libro Sangue di rosa scarlatta e vedere dal vivo il grande foglio nero del maestro. Là la scrittura asciutta, che ingrandisce come lente il continuum del dramma, qua un telo nero, un sudario, solcato da frammenti visivi tracciati con uno strumento povero, un pastello bianco».

«Là il racconto si concentra, parola dopo parola, qua come un affresco impazzito si dilata in mille rivoli: i mille risvolti del dolore e del perdono, tutto appena rischiarato dalla flebile luce di uno sciame di lucciole. In entrambi prende forma quella conoscenza sui generis del vero da parte dell’arte, visiva o letteraria che sia. Conoscenza che si apprende solo in presenza, come il rito. Come ieri, nel sacro spazio dell’Oratorio».

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