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JESI «Finalmente una giornata in giro…»

«Cerchiamo di non sentire più, che lacera il silenzio, quel suono triste e lugubre di ambulanze che tagliano momenti di vita che avrebbero ancora tanto da dire»

JESI, 5 maggio 2020 – Siamo nel mezzo del secondo giorno della seconda fase d.C. (che non è “dopo Cristo”, neppure “Democrazia Cristiana” ma più prosaicamente “del Coronavirus”) e i miei occhi, stanchi dei soliti tramonti visti con l’ottica sbilenca dei tetti e degli alberi intorno casa – sempre quelli, tanto da pensare di trasferirmi verso altri panorami – hanno ripreso, per quel che possono nella loro precaria funzionalità, a chiedere di riscoprire qualche angolo della città che da due mesi cominciavo a ricordare confusamente

Si va. Mattino giro al cimitero, avevo un paio di appuntamenti, che rispetto regolarmente ogni domenica, ma che avevo sempre dovuto rimandare ordinanza dopo ordinanza, tanto che, giunto di fronte alle foto ingiallite o coi colori che si afflosciano e perdono la vitalità originale dei visi familiari, ho notato una specie di rimprovero. Gli sono mancato! Armato di fiori e cerone, ho portato la mia faccia da parenti ed amici che, si è percepito distintamente di fronte al fornetto, hanno tirato un sospiro di sollievo, un afflato lieve che diceva: era l’ora, come sei cambiato, figlio, amico, parente, affine, congiunto, compagno, (camerata no) mio!

Avevano ragione, con loro non potevamo fare la video chat, come ho fatto regolarmente ogni domenica e non solo, con figli, nipoti ed un paio di new entry di fronte ad un aperitivo, come fosse una festa catartica ma io dopo le feste sono sempre triste, soffro di depressione post party (non fate caso alla battuta, è proprio frutto di quella depressione lì). Ma è stato bello e mentre me ne andavo, mi sono ricordato che, in fondo, i nostri cari (etc etc) dormono sulla collina, come dicevano Master e De André, che lì non c’è pericolo di assembramento, e poi ho recitato “A livella” di Totò e la frase, forse anch’essa sua, che diceva: «Perché non andiamo a prendere una boccata d’aria al cimitero? Conosco parecchi morti, tutti brava gente».

Quindi, davvero ho rivisto, potendo camminare liberamente, tante persone che mi pareva di riconoscere ma che, con le mascherine in faccia, non ero tanto sicuro fossero quelle che non incontravo da due mesi in qua. Io ho salutato tutti, ad essere educati non costa nulla, ed ho ricevuto solo risposte tipo: «Lo sapevo che eri tu, ti si riconosce dalla camminata». Quella ho e quella mi tengo.

Mi è mancato, al solito angolo, lo sguardo veloce, schivo ma vero di Armandì, accucciato sui suoi pensieri. Mi mancherà la sua figura e ancor di più mi mancherà il suo andare dinoccolato come per farsi accarezzare dalla gente. Intendiamoci, non c’era la folla delle grandi occasioni ma, sicuramente, più movimento, prima timido poi lentamente crescente di mezzo tono in mezzo tono, e anche “i volti” degli esercizi aperti (pochi in verità, il coronavirus ha da passà ‘a nuttata), avevano una bocca meno brencia del solito.

Del resto, l’economia deve ricominciare a camminare, con un occhio alla scienza, però. E la nostra città, deliziosa ma alla fine ripetitiva nelle foto in cui, di giorno e di notte, si mostra nuda nei suoi monumenti più belli, deve riprendere vita.

Terrò gli scatti di alcuni angoli di Jesi in cui titufferesti senza mascherina, luci e penombre che hanno dato una mano alla creatività dei fotografi. Però la città deve “vivere”, con le sue contraddizioni, i suoi monumenti transumanti, le sue mura che la stringono per salvarla e non per soffocarla, le sue piste ciclabili, i tuoi e nostri “ti ricordi” che risalgono a due mesi fa.

La voce del silenzio fa bene, è un suono che però può assordare. Ho dato un’occhiata al Pergolesi, che credo stia provando a creare una nuova vita ma altro non so, mi sono fatto il corso, poi sono andato verso i giardini e fino al palazzetto dello sport, che è tornato ad essere il mio percorso obbligato quando faccio passeggiate veloci, forse jogging.

Avevo indosso la mia mascherina e mi hanno (ovviamente) superato e doppiato decine di runners (sempre soli, in verità) senza mascherina. Mi son posto la domanda se per loro fosse giusto o sbagliato non indossarla, credo di aver capito che chi corre probabilmente non reca pericolo né col sudore né con la respirazione, forse solo a se stesso che magari rischia di soffocare, per cui mi adeguo, sono un italiano vero. Anche se mi ronzano in mente le parole del Governatore della Campania De Luca che se l’è presa con «certi cinghialoni della mia età che corrono in mezzo ai bambini senza mascherine, con la tuta alla caviglia, una seconda alla zuava, i pantaloncini sopra», promettendogli la gogna. Ehi runners senza mascherina, visto che correte, quando vedete in lontananza uno solitario come me, magari deviate un pochino la vostra strada, io non ho nessuna voglia di cuccarmi i vostri effluvi. Fatelo voi, siete sportivi e uno zig zag non vi fa male di certo.

Dopo una giornata in giro, posso dire che siamo stati tutto sommato ligi al dovere. Qualche giardinetto defilato un po’ più affollato del solito da madri, figli piccoli e cani, la vigilanza della Polizia Locale ha funzionato, adesso buttiamoci nella seconda fase, ieri è stata solo una prova. Adelante e con giudizio, figli di Federico II, cerchiamo di non sentire più, che lacera il silenzio, quel suono triste e lugubre di ambulanze che tagliano momenti di vita che avrebbero ancora tanto da dire.

Al prossimo reportage. A risentirci, miei 25 lettori amatissimi.

Giovanni Filosa

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