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JESI L’Oblio di Marta Mancini: un racconto a pennelli sulle tonalità del blu

L’artista jesina ha aperto il suo atelier nello splendido Chiostro di Sant’Agostino per la “Giornata del Contemporaneo

JESI, 15 dicembre 2021 – Qualche tempo fa, neanche tanto, definii Marta Mancini una “giovane leva” che affronta l’arte della pittura e, se volete, delle installazioni, con grande professionalità.

L’ultima mostra, intitolata Oblio, durata un giorno, l’11 dicembre  – ma Marta deve ascoltare anche le richieste di bis (cosa che le raccomando) – è un taglio, chissà se doloroso e dovuto, più che voluto, con un passato artistico che le ha regalato una posizione d’eccellenza e che non le ha impedito di inseguire le sue linee, che hanno una guida che muove la mano, che si chiama ispirazione. L’ispirazione le fa seguire sempre orizzonti appena conosciuti o da conoscere, ma stavolta sono le tonalità del blu, e basta, a prenderti. Senza di esse non si può fare a meno di creare il cielo, ghiaccio, acqua, elementi fluidi.

Nel suo laboratorio atelier di Chiostro Sant’Agostino, a Jesi, centro storico, ombelico della città, parliamo insieme di questi lavori, che rappresentano l’oggi di Marta, appoggiati, quasi, ai muri della stanza. In sottofondo,  non solo perché il colore lo richiama, Marta deve mettere, per chi andrà a visitarla nei prossimi giorni, il disco “Almost blue”, di Chet Baker. Una accoppiata vincente. Allora sentiamo perché questa svolta nella sua vita artistica.

«Oggi i miei lavori sono più rarefatti perché così io li vedo. Sono passata dall’orizzontalità delle colline marchigiane a una atmosfera che può sembrare più malinconica, persa verso l’infinito. Sempre meno materia, un tocco molto più evanescente, perché io “voglio togliere”. Sì, sul serio, come faceva Michelangelo. Metto il colore, poi lo tolgo con lo straccio, aggiungo, poi lo ritolgo. Realmente un lavoro molto fisico. Quando dispongo i colori, sulla tela, mi soffermo sugli equilibri  e non sempre sono soddisfatta dalla mia idea originale. Così mi accorgo che essi crescono piano piano, senza un vero e proprio progetto complessivo iniziale».  

Qual è lo stimolo preparatorio allora?

«Non c’è, credo, c’è la voglia di fare e avere subito l’impatto con la tela bianca. Mi viene in mente lo scrittore, fermo e forse indeciso prima di scrivere sulla pagina bianca. Poi inizio e le idee crescono e vengono da sole».

Anche le dimensioni non sono più le stesse di qualche tempo fa

«Vero, un po’ mi sono ridotta, ma la voglia di creare uno scambio fra dimensioni diverse non riduce la forza comunicativa del lavoro, i colori creano riflessioni».

Perché il titolo “Oblio”?

«La mia ispirazione è sempre incentrata sul ricordo. Credo che quello che sono sia l’insieme anche di quello che sono stata e la voglia di essere qualcos’altro, non qualcuno. L’oblio perché se si resta troppo aggrappati a un ricordo, non si riesce ad andare avanti. E quindi una volontà di dimenticare qualcosa che hai dentro, qualcosa del passato. Tutti abbiamo cose che ci hanno fatto pensare, soffrire, dall’atmosfera dell’infanzia ad oggi. Se si resta agganciati a certe memorie, non si riesce a crescere liberi. Da qui la voglia di svolta. Il ricordo resta, è una cosa quasi inconscia e lo sai, però c’è la libertà di dire “basta, a certe cose non penso se voglio continuare più libera mentalmente”» .

E il blu?

«Uno ci si perde, dentro quel colore liquido, quell’orizzonte, quella profondità in cui ti immergi per perdere le memorie di cui ti parlavo prima».

Ricordo alcuni tuoi lavori che arricchivano ambienti vissuti, pubblicati su riviste di settore, abbinamenti da cui non capivo se era stato creato prima l’ambiente o il tuo lavoro…

«Vero, ma quello che realizzo oggi lo trovo più leggero, più libero. Se ripenso a certi passaggi della mia carriera, sospetto perfino che mi prendessi troppo sul serio. Che so, forse anche oggi è così, ma cerco di essere più leggera, più spensierata quando affronto una tela e il mio essere. La tela bianca ti fa penare, diciamo così, è uno specchio e lì non puoi fingere. Alla fine il tuo fastidioso tormento intimo però deve diventare una dimenticanza, deve perdere naturalmente il valore nelle sue tracce mnemoniche, diventare un ricordo sospesoLa gioia? Arriva non appena mi rendo conto che i colori che oggi mi rappresentano, seppur mai troppo vivaci, mi hanno soddisfatto».

Questa strada dove porta?

«Non lo so, quando finisco un’opera c’è la soddisfazione di vederla conclusa, fissata, ma fa capolino anche, dentro, quella vocina che mi dice: “e adesso Marta? Adesso cosa facciamo?”. Però capisco che questa è la mia nuova strada, lineare come sempre, come i miei confini, come i miei monti, scaricata la materia resta un flusso di sensazioni blu anzi, sulle tonalità del blu» .

Giovanni Filosa

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