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Cronaca

Jesi Ospedale Carlo Urbani: eccellenza del prelievo “a cuore fermo”

Il primario di Anestesia, Analgesia e Rianimazione, Tonino Bernacconi: «Risultati ottenuti grazie alla grande professionalità dell’equipe ma anche al cuore delle famiglie jesine»

Jesi – Si respirano umanità e speranza nel reparto di Terapia Intensiva dell’ospedale “Carlo Urbani”, che poco più di un anno fa, il 5 gennaio 2023, effettuava la prima donazione di organi “a cuore fermo”, unica struttura nella regione Marche a praticare questo tipo di prelievo, punto di riferimento a livello nazionale con Lombardia ed Emilia Romagna.

Un percorso clinico innovativo che a Jesi ha trovato terreno fertile grazie alla lungimiranza del primario di Anestesia, Analgesia e Rianimazione, Tonino Bernacconi, di origini fabrianesi e jesino d’adozione, proveniente da un’esperienza trentennale nella cardiochirurgia di Ancona.

Descrive gli ottimi risultati raggiunti dal reparto, che nel 2023 ha registrato dati notevoli nel prelievo di organi: 24 i potenziali donatori individuati, di cui 18 “a cuore battente” e 6 “a cuore fermo”, tra i prelievi a cuore battente, 10 le donazioni effettuate e 8 le opposizioni. Tra gli organi procurati, 11 fegati, 10 reni e 16 cornee.

Il 2024 si è aperto con due accertamenti con volontà donativa, nel mese di gennaio, in un caso è stato possibile donare anche il cuore.

«Risultati ottenuti grazie alla grande professionalità dell’equipe di operatori e sanitari ma anche al cuore delle famiglie jesine, con cui coltiviamo un rapporto quotidiano di fiducia e umanità», ha sottolineato Tonino Bernacconi.

L’apertura h24 del reparto

Lungimiranza dimostrata anche favorendo l’apertura h24 della Terapia intensiva del “Carlo Urbani”, grazie all’adesione al progetto “Terapia Intensiva aperta ai familari”, promosso in Italia dal Comitato nazionale per la bioetica e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, al quale l’ospedale “Carlo Urbani” ha aderito a partire dal 2020.

«Questo ci ha permesso di promuovere l’umanizzazione del rapporto con il paziente e con i suoi familiari, che possono partecipare alle cure mediche e restargli accanto senza limiti di tempo, acquisendo fiducia nei sanitari, nelle cure effettuate e nel tempo dedicato a ognuno di loro».

Sono 15 i medici della Terapia Intensiva, 18 infermieri, una caposala, 3 Oss, 8 posti letto disponibili e una media di oltre 280 pazienti l’anno.

«L’apertura h24 ai familiari è un percorso culturale avviato all’interno del reparto già nel 2013, quando i componenti dell’equipe hanno preso parte ai corsi di formazione sulla “terapia intensiva aperta” che prevedevano incontri con psicologi ed esperti del settore, per imparare a comunicare con i familiari dei pazienti e affrontare la loro presenza continuativa in reparto», ha raccontato Laura Farina, infermiera della Terapia intensiva dell’ospedale jesino.

«Presenza da vivere come una risorsa preziosa nella cura del paziente che, avendo accanto le persone care, si sente rassicurato ed è più fiducioso e giova allo stesso personale sanitario».

Attualmente l’ingresso è consentito a 4 familiari al giorno che possono alternarsi, 2 alla volta, e devono stazionare solo nell’area di pertinenza del proprio parente ricoverato. Un progetto votato al senso di accudimento, non solo del paziente ma anche dei familiari, al prendersi cura dell’essere umano prima ancora che di un corpo.

Prelievo “a cuore battente” e prelievo “a cuore fermo”

Perché la Terapia Intensiva è «condivisione di emozioni e relazioni profonde, nella quale si vuole celebrare sino alla fine la vita, la dignità e l’umanità dei pazienti», ha spiegato la dottoressa Antonella Jorio dell’equipe del Reparto, nonché coordinatrice del Prelievo di organi al “Carlo Urbani”, che ci ha spiegato la differenza tra prelievo “a cuore battente” e “a cuore fermo”.

Sono due, infatti, i percorsi clinici definiti dall’Organizzazione mondiale della sanità, che portano alla donazione degli organi dopo la morte accertata, rispettivamente con criteri neurologici o cardiocircolatori.

Il prelievo infatti, può avvenire solo dopo la morte encefalica primitiva (l’unica forma di prelievo adottata fino a qualche anno fa) o dopo la morte encefalica secondaria, in cui la cessazione irreversibile delle funzioni dell’encefalo avviene in seguito all’arresto del cuore.

In questo ultimo caso, si parla di prelievo a cuore fermo, tecnica introdotta nei paesi europei da poche decine di anni, che in base alla legge italiana può avvenire solo dopo aver effettuato un elettrocardiogramma di 20 minuti che attesti l’assenza completa di attività elettrica del cuore.

«Trascorsi i 20 minuti, gli organi possono essere rivitalizzati grazie a uno strumento – l’Ecmo – che ne permette la riperfusione (cioè la riattivazione della circolazione del sangue) e viene utilizzato da un tecnico competente, il perfusionista», ha spiegato la dottoressa Jorio. Solo dopo la rivitalizzazione degli organi sarà possibile effettuarne la valutazione e stabilire quindi l’idoneità alla donazione.

Che potrebbe avvenire anche con arresto cardiaco improvviso e inatteso che non risponde al trattamento rianimatorio, il prelievo però richiederebbe organizzazione e tecnologie presenti solo in pochissimi centri specializzati, mentre più frequente è la donazione che avviene in seguito ad arresti cardiaci terminali, è il caso del “Carlo Urbani”, che si verificano in Terapia Intensiva o in altri reparti dell’ospedale.

I vantaggi della donazione “a cuore fermo”

La donazione “a cuore fermo”, Dcd (Donation after cardiac death), ha permesso di incrementare il numero di trapianti in molti Paesi in cui le donazioni per morte cerebrale non erano sufficienti a soddisfare tutte le richieste di organi. In Italia risale al 2007 la prima esperienza pilota effettuata dall’ospedale di Pavia.

«Per noi la soddisfazione più grande risiede nelle parole dei familiari che, dopo la perdita del loro caro ci ringraziano per la possibilità che gli abbiamo dato di poter donare gli organi – ha sottolineato il primario – questo significa che con loro abbiamo instaurato un rapporto di fiducia tale da superare la perdita e trovare un nuovo senso della vita grazie al dono».

Da qualche mese a rendere ancora più accoglienti le stanze del reparto sono gli affreschi – in fase di ultimazione proprio in queste settimane – realizzati dagli studenti del Liceo Artistico Mannucci di Jesi che hanno sviluppato il tema della vita e della morte dando voce ai concetti di speranza, di relazione, di amore per la città e della bellezza della natura e dell’arte.


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