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Jesi Riccardo Muti indimenticabile al Teatro Pergolesi

Una bellissima pagina ha aperto ieri le celebrazioni spontiniane, con lui la musica sprizza in platea e si perde fra i palchi con una partecipazione palcoscenico – sala sicuramente superiore a tutte le altre volte

Jesi – Dopo tanti anni mi è capitato di assistere, al Teatro Pergolesi, a un evento che, se l’avessi mancato anche di striscio, mi sarei autodenunciato all’ordine dei melomani, recentemente costituito.

Dicono che è normale, ti prende quasi una sindrome di Stendhal quando sul podio c’è il direttore Riccardo Muti, a capo della sua Orchestra giovanile Luigi Cherubini.

Con lui, la musica sprizza in platea e si perde fra i palchi con una partecipazione palcoscenico – sala sicuramente superiore a tutte le altre volte.

Mettici, in più, la capacità del Pergolesi – inteso come Teatro – di far arrivare al pubblico la musica come poche altre volte mi era capitato di ascoltare e, soprattutto, di sentire, e il gioco è fatto. 

Che questo primo appuntamento, che strappa il fiocco delle celebrazioni per il 250esimo anniversario della nascita di Gaspare Spontini, avesse un non so che di particolare, l’abbiamo capito subito tutti. 

In platea e nei palchi c’erano tanti di quei personaggi che a indicarli uno per uno, visto il poco spazio e le striminzite battute che mi concede il Quotidiano delle Marche, sarebbe chiudere qui il pezzo. Invece chi vuole cerchi il volto, magari con il riconoscimento facciale, che uscirà sui media, e saprà chi c’era e chi non c’era.

Una sinergia unica ha reso la serata magica. Io racconto, come diceva la Politkovskaja, quello che vedo. E vedo che Muti è un direttore non solo straordinario come sanno tutti, ma è anche un finto brontolone nei confronti della sua orchestra e del mondo, cui aggiunge la capacità affabulatoria nel poter e saper dire cosa pensa della musica oggi, di Pergolesi, di Spontini, dell’ignavia di certi ambienti politici che non permettono o, peggio ancora, non capiscono lo spessore della nostra (non solo marchigiana in questo caso) potenza di tiro nel panorama musicale mondiale.

Istrionico, quando alla fine chiacchiera con il pubblico e ci regala attimi di riflessione e di sano divertimento, e poi paragona, con il suo sguardo che si muove a tutto tondo e sembra dire all’ultima fila “ehi, fai attenzione, che dopo ti interrogo”, la Marsigliese con “Va pensiero” candidato a diventare, secondo alcuni, il nostro inno nazionale.

E via sorridendo. Bellissimo l’omaggio dedicato a Pergolesi, di cui ha eseguito in apertura Stabat Mater, con soprano, contralti e basso continuo.

La storia ci spiega che Giovanni Battista Pergolesi compose il suo Stabat Mater“una delle pagine più sublimi di tutta la storia della musica sacra, solo qualche mese prima della sua morte, come per il Requiem di Mozart che avvenne nelle medesime circostanze. Il compositore di Jesi, destinato a morire a soli ventisei anni di tubercolosi, scrisse velocemente questo straordinario capolavoro dopo aver ricevuto nel 1735 l’incarico da parte di una confraternita laica napoletana, quella dei Cavalieri della Vergine dei Dolori di San Luigi al Palazzo, che l’avrebbero utilizzato durante la liturgia della Settimana Santa”.

Non volava una mosca, un’esecuzione che ha regalato la sua sacralità, svelando il mistero di Dio che s’incarna nell’uomo e nella sua fragilità, precorrendo tempi di composizioni simili che avrebbero, i nostri avi, ascoltato nel periodo dell’evoluzione della scrittura musicale. Il soprano Damiana Mizzi e il contralto Margherita Maria Sala ci hanno consegnato un Pergolesi come se fosse stato appena cullato.

Di Gaspare Spontini, con la straordinaria creatura chiamata Orchestra giovanile Cherubini al completo, Muti ci ha poi fatto vivere il secondo atto da ”Agnese di Hohenstaufen”, l’aria “No, Re del cielo”, da “La Vestale”, un’aria del secondo atto, “Toi que j’implore avec effroi, impitojables deux”, con una straordinaria esecuzione vocale di Lidia Fridman, una grande voce che arricchisce i nostri teatri.

Infine, l’ouverture da “La Vestale”, una potenza musicale vissuta visceralmente durante l’esecuzione, che ci ha fatto capire come e perché Wagner venerasse il nostro Gaspare. 

Muti afferra la sua bacchetta e qui, nel paese della scherma, i suoi gesti si fanno via via agili ed aggressivi infilzando, con ferocia e baldanza fino alla stoccata finale, la difficile partitura di una delle ouverture più ardue e belle del mondo. E anche stavolta vince.  

Una bellissima, indimenticabile pagina che ha aperto le celebrazioni spontiniane.

Poi, stamattina, un bagno di folla, ulteriore, nel teatro di Maiolati Spontini e una visita alla tomba del grande compositore.

Muti ama questo nostro centro da anni. Non c’era bisogno che lo dicesse, tanta era la felicità di esserci che emanava la sua persona.

(foto Binci)

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