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Cronaca

JESI Saman Abbas e la logica del dominio sulle donne

La Casa delle donne di Jesi sul caso della ragazza che non voleva essere costretta al matrimonio combinato e che per questo sarebbe stata uccisa

JESI, 28 giugno 2021Saman Abbas, la giovane di origine pachistana, è stata vittima di femminicidio – i testi non sono ancora stati rinvenuti – in un contesto patriarcale, maschilista e misogino: l’onore della famiglia è passato in primo piano, anche a costo della sua vita. Onore che si traduce nell’adesione della donna a certi standard etico-morali.

La volontaria Lucia Antonella di Casa delle donne

Una vicenda drammatica e complessa quella avvenuta a Novellara della quale abbiamo parlato con le volontarie della Casa delle donne di Jesi.

«A Casa delle donne, in questi ultimi anni, ci è capitato di accogliere alcune donne provenienti dalla stessa area geografica di Saman, che, tra le varie violenze, avevano subito anche quella del matrimonio combinato o forzato. Nei casi da noi trattati, queste donne non si sono inizialmente ribellate allo svolgersi del matrimonio forzato e il nostro lavoro di ascolto si è inserito all’interno delle conseguenze e degli abusi che quella violenza originaria aveva determinato», spiegano le volontarie Lucia Antonella e Dolores Rossetti.

«Quello che emerge con più forza da questi racconti è il senso di colpa e la solitudine che tali donne – spesso giovani ragazze in realtà – vivono nel momento in cui si apprestano a distaccarsi dai dettami e dai canoni imposti dalla loro famiglia e cultura di origine. I fattori di rischio violenza appaiono inoltre più elevati, in quanto si estendono a tutta la famiglia allargata, come nel caso della stessa Saman. La donna, nel momento in cui tenta di autodeterminarsi, viene additata come colpevole per aver disonorato il nome della famiglia e il peccato del tradimento è tanto inaccettabile da essere punito con la morte. È la logica del dominio e di potere che l’uomo esercita sulla donna e che permea la società maschilista e sessista in cui tutte e tutti cresciamo e viviamo».

Lo striscione davanti alla scuola Federido II di Jesi

Riflettere su questa vicenda impone di ragionare affinché non sia distorta.

«Non possiamo esimerci dal fare riferimento al ruolo cruciale che anche la legge italiana ha rivestito in questa vicenda: l’emancipazione delle donne di seconda generazione passa anche dal riconoscimento dei diritti, in primis quello della cittadinanza italiana, che a Saman non era stata conferita, sebbene cresciuta in Italia. Il fatto che i documenti di soggiorno di una moglie o figlia straniera siano vincolati alla famiglia di origine per motivi di reddito e di residenza, anche nei casi in cui è stata denunciata violenza, rappresenta un ulteriore pericoloso ostacolo per le donne».

Dai dati che emergono alla Casa delle donne la percentuale di questi specifici casi è irrisoria rispetto alla totalità delle vittime.

«Le violenze a cui ogni donna, italiana e non, è esposta sono innumerevoli. In Italia, tantissime ragazze e donne vivono l’odio e la violenza (sotto molteplici forme) di una società e di uomini che rifiutano le loro scelte e la loro “pretesa” di essere libere. Secondo l’Osservatorio sul Fenomeno della Violenza sulle Donne della regione Campania, sono 53 le donne che sono state uccise, solamente dal 1 gennaio 2021 ad oggi, e tutte per mano di uomini».

È fondamentale ribadire che la violenza di genere è un fenomeno trasversale «che riguarda la donna in quanto tale, e l’aspetto essenziale del contrasto alla violenza è dato dalla prevenzione e dal lavoro culturale dal basso che si espleta, ad esempio, con le formazioni nelle scuole e degli operatori pubblici. E la lotta, per essere efficace e produrre risultati, deve essere sistematica e coordinata nel territorio, motivo per cui il dialogo tra gli attori che ne sono protagonisti, dai centri antiviolenza, ai servizi sociali, passando per le forze dell’ordine e la magistratura, è di primaria importanza».

Eleonora Dottori

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