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JESI Terricidio, l’impegno del Collettivo Transfemminista (video)

Per il riconoscimento come crimine di lesa umanità e contro la natura: «Perché o la liberazione è per tutte o non lo è per nessuna»

JESI, 27 maggio 2021 – Anche il Collettivo Transfemminista di Jesi supporta la lotta delle donne indigene argentine che da due mesi marciano in cammino verso Buenos Aires per dire basta al terricidio.

Il terricidio, la distruzione sistematica di flora e fauna e l’uccisione delle persone indigene per far spazio alle pratiche capitaliste e consumistiche delle multinazionali, è una lotta che riguarda tutte e tutti. È in primis una lotta femminista, contro la discriminazione di genere, ma anche ambientalista e antirazzista.

«Le lotte non si fanno a compartimenti stagni – spiega Irene Rossetti, attivista del Collettivo Transfemminista -. Non siamo qui per salvare le donne indigene con atteggiamento paternalistico tipico occidentale: la loro liberazione è anche la nostra liberazione».

Le “Mujeres indijenas por el buen vivir” argentine, donne native delle 36 Nazioni originarie dell’Argentina e riunite nel movimento dal 2015, sono in cammino da marzo per dire basta al terricidio e far sì che venga riconosciuto come crimine di lesa umanità e contro la natura.

Il terricidio, lo sterminio sistematico delle forme di vita di cui si macchiano le multinazionali soprattutto del fast fashion, aggrega in sé i concetti di genocidio, femminicidio, ecocidio (la distruzione degli ambienti naturali) ed epistemicidio, ovvero l’imposizione di una sola visione del mondo, quella capitalista e consumistica

Nelle scorse settimane il Collettivo ha dialogato on line con tre delle donne del movimento, collegate in diretta Zoom durante una tappa del loro cammino di 2000 chilometri.

E sabato scorso il Collettivo era in Piazza Pergolesi a far sentire la propria voce e a far conoscere la problematica del terricidio.

Serve una lotta globale e collettiva, che attraverso la sensibilizzazione, lo scendere in piazza, faccia pressione a livello legislativo e istituzionale

«Siamo qua per camminare al fianco delle donne indigene, per lavorare e lottare insieme, perché siamo consapevoli che la nostra liberazione passa attraverso la liberazione di tutti gli altri popoli in lotta – ha detto Irene nel suo discorso al presidio –. La nostra lotta passa attraverso le lotte di tutti i popoli oppressi. E ci teniamo a ribadire che esistono oppressi e oppressori, colonizzati e colonizzatori. Non esiste equidistanza tra Palestina e Israele, c’è chi attacca e chi resiste. Così come la violenza delle persone in rivolta per le strade della Colombia non è la stessa agita dalla Polizia, ma è degna rabbia di chi lotta».

Accanto alle azioni individuali di boicottaggio delle multinazionali che si macchiano di terricidio e all’adozione di un’economia di riciclo, circolare e non consumistica, l’impegno politico degli scioperi, dell’attivismo e della pressione organizzata verso un cambiamento sistematico e strutturale.

«È giusto chiamare le cose col loro nome, perché è un atto di resistenza: e dunque siamo qui per resistere al fianco delle nostre sorelle in ogni angolo del pianeta. Come ci ricordano le sorelle argentine infatti, troppe persone sono ancora vittime di violenza di genere. La loro marcia è anche la marcia di chi lotta quotidianamente contro la violenza di genere. Troppe donne ancora sono vittime di femminicidio, troppe persone subiscono forme di violenza e discriminazione per il loro orientamento sessuale o per la loro identità di genere, troppi ancora sono i transcidi. La violenza etero-patriarcale non ha confini: siamo qui dunque per riprenderci i nostri diritti e unire le lotte, perché o la liberazione è per tutte o non lo è per nessuna».

Elisa Ortolani

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