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L’ARTICOLO Ci libereremo mai dai combustibili fossili?

Nel costo finale della nostra bolletta grava anche la speculazione finanziaria

Come abbiamo visto nel precedente articolo, un’importante componente del caro bollette (gas, luce) è riconducibile all’inevitabile transizione energetica, finalizzata al tentativo di frenare il riscaldamento del pianeta.

In particolare, l’iniziativa dell’Unione Europea di tassare la produzione di Co2, strutturata in permessi a pagamento che le aziende più virtuose possono cedere alle più inquinanti, vorrebbe scoraggiare uso e investimenti legati ai combustibili fossili. Tuttavia i governi, al fine di scongiurare le tensioni sociali, limiteranno il fardello che colpirebbe le fasce più deboli della popolazione, in pratica frenando parzialmente il processo.

Comunque, una domanda è lecito porsela: potremmo mai affrancarci completamente dai cosiddetti combustibili fossili?

C’è certamente il problema della discontinuità delle fonti cui si sta cercando di ovviare attraverso batterie di accumulo o, ancora meglio, come nella centrale solare di Carlo Rubbia, mediante reazioni chimiche reversibili.

Ma c’è dell’altro, come emerge dalle vicende passate.

Cominciamo con gli eventi che colpirono l’umanità circa un secolo prima che il bacillo della peste scatenasse la pandemia nota come la morte nera. Siamo nel 1258 e una delle più potenti eruzioni mai avvenute, ad opera del vulcano Samalas nell’isola di Lombok (Indonesia), causa una estesa nuvola di ceneri e polveri che schermando il sole determina, dapprima in Asia poi in Europa, un anno senza estate.

La carestia che seguì alla mancanza di raccolti riempì enormi fosse comuni di cadaveri e costituì il prologo di quello che sarebbe successo un secolo dopo.

Un evento simile accadde in Europa nel 1816, causato da una catastrofica eruzione del vulcano Tambora, sempre in Indonesia, avvenuta un anno prima, che aveva flagellato le regioni asiatiche.  

Per un drammatico parallelismo anche questa volta, a distanza di trent’anni, si sviluppò una pandemia di colera originatasi in India.

Poiché le eruzioni vulcaniche continuano ad accadere ci si rende conto che in caso di un evento straordinario, ad esempio, i pannelli solari verrebbero inibiti nel produrre energia.

Nel costo finale della nostra bolletta grava anche un’altra variabile che esula dal mero rapporto domanda/offerta: la speculazione finanziaria.

Già perché attraverso strumenti chiamati “futures” si può puntare al rialzo o al ribasso sulle materie prime (commodities), senza accumulare o spostare fisicamente una briciola della merce.  

Per renderci conto dell’entità del fenomeno si consideri che, ad esempio per il petrolio, il volume delle transazioni finanziarie giornaliere può arrivare a 5-6 volte quelle della materia fisica effettivamente trattata. Poiché i derivati del petrolio si impiegano non solo nell’autotrazione ma pure nei fertilizzanti e i pesticidianche i prodotti agricoli ne subiscono le conseguenze.

Questa dinamica si è allargata a quasi tutte le commodities, dal mais al grano, dal ferro al rame e a molti materiali edili, creando sconquasso in un settore che il super bonus ha contribuito a rivitalizzare.

In poche parole, il fantasma dell’inflazione che molti analisti paventavano, quale conseguenza dell’immissione sconsiderata di liquidità attraverso il quantitative easing, si è concretizzato.

Le banche centrali a partire dal 2008 con accelerazione in concomitanza con la pandemia, hanno stampato soldi per acquistare titoli pubblici al fine di tenere basso il costo dell’indebitamento degli stati e anche dei privati. Ora, per prevenire che l’inflazione si avviti, bisognerebbe tornare indietro (l’operazione viene detta tapering) e alzare il costo del denaro: ma sarebbe come accendere la luce in una stanza piena di gas. 

La deflagrazione provocherebbe due onde d’urto con effetto sinergico, la prima ostacolerebbe la ripresa economica post covid, la seconda farebbe implodere la bolla finanziaria che coinvolge particolarmente i titoli tecnologici americani.

Le banche centrali minimizzano sostenendo che l’inflazione avrà breve durata e in fondo per gli stati fortemente indebitati va bene così, perché il fardello delle obbligazioni sottoscritte dai risparmiatori viene svalutato.

Per capirci, la quasi totalità dei titoli di stato europei (esclusi i paesi emergenti) con in testa quelli tedeschi, hanno rendimenti negativi, mentre il carovita supera il 4%: ne consegue una perdita che nel medio lungo periodo si traduce in un “bagno di sangue”.

In conclusione, attenti ai vostri risparmi!

(segue)

Bruno Bonci

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