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L’ARTICOLO Il lavoro dopo il Covid-19, variabile difficile

Flessibilità, formazione e welfare: e intanto la povertà avanza

Una delle variabili maggiormente coinvolte nella ripresa post covid 19 sarà il lavoro. Vediamo di inquadrarla nel suo aspetto generale.

Nei tempi moderni il mantra che caratterizza il lavoro è “flessibilità”, al fine di rispondere alle dinamiche economiche che via via emergono in un mondo che cambia rapidamente. E’ la cosiddetta distruzione creativa teorizzata da Joseph Shumpeter (1883-1950), l’economista più osannato da l’Economist.

Il paradigma della flessibilità si aggancia ad altri due presidi: la formazione, per avere le competenze professionali necessarie, il welfare capace di supportare il lavoratore anche in termini pensionistici, durante la transizione da un lavoro all’altro.

Proprio questo schema della flessibilità vedremo che presenta un ampio ventaglio di condizioni: si va dal settore pubblico che garantisce quasi sempre il posto fisso e come tale crea dei colli di bottiglia nel funzionamento della società, alla quasi semi-schiavitù.

Partiamo col primo parametro: la formazione.

Chi se ne deve occupare, le aziende o la scuola? E’ ovvio che le piccole aziende avranno più difficoltà a formare i propri lavoratori e, poiché il panorama produttivo italiano è costellato di imprese di modeste dimensioni, dovrebbe essere la scuola a provvedervi.

La scuola ha un ruolo molto importante nella formazione dei futuri cittadini e dunque della società stessa: deve conferire un’identità culturale, nonché le abilità per sopravvivere un un mondo complesso come quello moderno ed infine provvedere, soprattutto attraverso gli istituti professionali e le università, alle competenze professionali attraverso cui accedere a un reddito per sé e la propria famiglia.

Proprio però per le rigidità del settore pubblico, spesso la scuola è incapace di fornire in tempo utile l’offerta formativa richiesta dal mondo del lavoro. Ad esempio si pensi al compito di far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro, cui sono preposti i centri per l’impiego. Ebbene, mentre i corrispettivi tedeschi esaudiscono sette domande su dieci, in Italia appena una.

Come dire che i centri per l’impiego “impiegano” solo se stessi. E proprio questa inadeguatezza, ha esposto a numerose critiche una delle misure messe in campo per fronteggiare il preoccupante avanzare della povertà: il reddito di cittadinanza.

Lo scopo di questa misura era il sostegno al reddito, in teoria accompagnato da formazione attiva, finalizzati al mantenimento della coesione sociale. Esiste in tutti i Paesi avanzati ed erroneamente viene considerato un’invenzione del Movimento 5Stelle.

L’idea infatti viene da lontano e coinvolge oltre a pensatori filantropi del XVIII secolo, anche economisti ferocemente liberisti come Friedrich Hayek (1899-1992), avversario di Keynes (sostenitore della spesa statale) e Milton Friedman (1912-2006) patriarca dei monetaristi.

Esso si inserisce nel secondo parametro, il welfare appunto, ovvero quel complesso di provvedimenti come ammortizzatori sociali, sgravi fiscali alle imprese che assumo ecc… centellinato tra l’esigenza di garantire l’integrazione e quella di stimolare l’individuo all’iniziativa economica. Tuttavia occorre rilevare che a dispetto di quell’immagine edulcorata di una società narciso-edonistica degli spot pubblicitari la forbice sociale si divarica drammaticamente.

Ma come mai la povertà avanza?

Se nel XIX secolo i lavoratori erano in balia dei padroni delle ferriere, nel XXI lo sono di quelli delle piattaforme e degli algoritmi. Inevitabilmente ci dobbiamo confrontare con la gig economy. La sigla non è un acronimo bensì un’espressione, mutuata dal mondo del jazz, con il quale si indicava l’ingaggio per una serata.

Possiamo definirla come “economia dei lavoretti” pensata per arrotondare uno stipendio già percepito o per studenti che cercano di mantenersi. Il lavoratore in pratica si aggancia ad una piattaforma che fa incontrare a livello globale bisogni temporanei di consumatori con la disponibilità di potenziali lavoratori.

L’offerta è variegata: si va dal servizio taxi, alla consegna di pietanze preparate, all’affitto del proprio appartamento, alla traduzione di articoli etc.

Il problema principale è rappresentato dal fatto che per un numero crescente di lavoratori costituisce l’unica opportunità di avere un reddito e oltretutto senza adeguate tutele. Ora, se per alcune situazioni, come l’opportunità di affittare per turismo un’immobile, offre dei concreti vantaggi, in linea generale assistiamo al crescente ridimensionamento di diritti sanitari e previdenziali conquistati in passato da lunghe lotte sindacali.

Bruno Bonci

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