Segui QdM Notizie

Rubriche

L’ARTICOLO Può l’Unione Europea sopravvivere allo shock post Covid?

E ancora, potrà l’Italia ritrovare la fiducia e lo slancio per affrancarsi dalla crisi economica che la pandemia ha determinato?

Prendo spunto da una nuova crisi aziendale che incombe sul nostro territorio e che minaccia il posto di lavoro ad almeno 500 persone: mi riferisco alla vicenda dell’Elica, il cui proprietario minaccia di trasferire una parte considerevole della produzione in Polonia. Già, la solita Polonia, calamita della nostra manifattura, un paese autoritario che si è ingrassato con i nostri soldi, ci ha sottratto migliaia di posti di lavoro e che quando gli si chiede di aiutarci a superare la crisi migratoria che affligge il Mediterraneo, ci risponde con il gesto dell’ombrello.

Questo evento sollecita due quesiti: può l’Unione Europea, un’accozzaglia di Paesi proni sui propri interessi, sopravvivere allo shock post Covid-19? E ancora, se questo è lo scenario, potrà l’Italia ritrovare la fiducia e lo slancio per affrancarsi dalla crisi economica che la pandemia ha determinato?

Appare evidente che le due dinamiche sono collegate perché senza lavoro l’Italia non si riprende, e di conseguenza la crisi che ne deriva alimenterà le spinte centrifughe, sebbene ostacolate dal cappio del debito pubblico in mano alla Bce

Il disegno dell’Unione Europea già concepito da Altiero Spinelli, ha cominciato a concretizzarsi all’indomani della ricostruzione post seconda guerra mondiale grazie a uomini del calibro di Schuman, De Gasperi, Adenauer desiderosi di porre fine ai conflitti annosi che per ben due volte avevano devastato il continente.

Da iniziativa di pace il progetto ha assunto nel corso degli anni una valenza sempre più economica, culminando nella realizzazione di un mercato unico e di una valuta sovranazionale, l’euro. Dopo il collasso dell’Unione Sovietica e la globalizzazione che ne è seguita, nei palazzi di Bruxelles abbiamo assistito al consolidamento di una plutocrazia elitaria che da un lato ha abdicato agli interessi delle multinazionali, dall’altro ha partorito ambizioni geopolitiche espandendosi verso est.

L’integrazione dei nuovi venuti è avvenuta prevalentemente a spese delle classi medie occidentali, determinando inquietudini e movimenti nazionali etichettati come “populisti“, sfociati nella Brexit.

Il risultato è un coacervo di Paesi che prestandosi al gioco delle multinazionali, procedono con la politica del beggar–thy-neighbor, ovvero impoverisci il tuo vicino. Così c’è chi come Lussemburgo, Irlanda, Malta, Olanda sottrae entrate fiscali e chi come Polonia, Ungheria , Slovacchia sottrae posti di lavoro.

Le conseguenze sono poche tasse per i ricchi e molta incertezza per i lavoratori, esacerbata dall’espandersi della gig economy (lo approfondiremo in seguito).

Paradossalmente il Covid-19 ha allontanato le tensioni grazie alla panacea del secolo: il debito facile espresso in vari acronimi, Mes, Sur, Ngeu e soprattutto dal Qe (quantitative easing) della Bce.

Specialmente sul New Generation Eu, i Paesi come l’Italia contano molto per rimettere in pista le proprie disastrate economie attraverso politiche keynesiane di investimenti pubblici.

La Ngeu appare come un progetto lodevole, poiché per la prima volta si parla di condivisione del debito, quasi da far gridare al “momento hamiltoniano dell’Europa”, ma ribadisco, senza una legislazione comunitaria che regoli sia le politiche fiscali che quelle dei diritti del lavoro, ogni illusione è destinata a dissolversi. Preciso che Alexander Hamilton è stato uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America attraverso l’iniziativa della condivisione del debito fra gli stati confederati.

Proprio il debito pubblico del nostro Paese sollecita tante domande di cui la principale è: come ne usciremo?

La soluzione ideale sarebbe una vigorosa crescita economica che amplifichi le entrate fiscali, accompagnata da una ragionevole inflazione che diluisca il debito stesso. Quest’ultima dinamica potrebbe spostare il risparmio verso il settore immobiliare, consolidando lo stimolo già sollecitato dal superbonus e attivando un circolo virtuoso di crescita. Il modello sarebbe quello del periodo post seconda guerra mondiale, in particolare 1951-61, la golden age dell’Italia.

Allora però c’era da ricostruire le case e di fornirle di tutti quegli elettrodomestici e comfort di cui quelle odierne ne sono piene. Inoltre la mobilità costituiva un’altra forte dinamica propulsiva con l’acquisto di automobili e la costruzione di relative infrastrutture, come le autostrade. Insomma, c’era lavoro nei cantieri e nelle fabbriche e dunque stipendi con cui acquistare appartamenti, automobili, elettrodomestici: in sintesi si è realizzata la trasformazione da una società agricola a quella industriale.

Oggi ci si muove in un mondo dove l’automazione e la digitalizzazione determinano sempre più lavoro precario e sfiducia, compromettendo la possibilità che lo scenario ideale possa realizzarsi. Le speranze risiedono tutte nel progetto infrastrutturale di conversione verso la green economy finanziato dall’Ue attraverso il New Generation Ue in cui l’Italia, oltre ai soldi a debito, avrà un ammontare a fondo perduto.

A monte però c’è da mettere mano all’annoso problema dell’inefficienza dell’amministrazione pubblica a cui si è sempre risposto con la logica gattopardesca del “Cambiare tutto affinché tutto resti com’è”: Troverà l’esecutivo Draghi la volontà per una riforma efficace?

Un’altra soluzione al nostro debito l’ha proposta l’attuale presidente del Parlamento europeo, David Sassoli: in sintesi azzerare il debito degli Stati acquisito dalla Banca Centrale Europea, una specie di “Chi ha dato ha dato, chi ha avuto ha avuto, scordammuce ‘o passato…“.

Metaforicamente potremmo rappresentarlo come il biblico rientro nel Paradiso (libro della Genesi), godendosi la vita senza essere costretti al duro lavoro e proprio per questo difficilmente l’etica protestante del Nord Europa, potrà avallarlo.

Esiste anche una terza via. (segue)

Bruno Bonci

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Leggi anche

News