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RITRATTI Francesco Cherubini: il sindaco in testa e Montanelli nel cuore

“Ritratti” è uno spazio nel quale prende forma un’intervista che non ti aspetti, con persone e personaggi che riescono ad attirare interesse

 

JESI, 8 ottobre 2020 – “Dopo una notte di riposo, le notizie sono indispensabili come la colazione”, diceva Henry David Thoreau e Francesco Cherubini, capufficio stampa del Comune di Jesi dal 1993, quando si tratta di notizie non si fa cogliere impreparato né di mattina né di sera. Giornalista professionista dal ‘91, ha iniziato a muovere i primi passi nel mondo della carta stampata da ragazzo con trasmissioni sportive su Radio Eco, poi si è fatto le ossa grazie alla collaborazione con numerosi quotidiani (locali e non) fino, appunto, all’incarico di intermediario tra istituzioni e mezzi di comunicazione.

 

Cosa ti piace del tuo lavoro di giornalista e cosa invece cambieresti?

«In questi 30 anni ho dovuto prendere atto di come la professione del giornalista sia profondamente cambiata. Personalmente resta l’immenso piacere di scrivere e di informare, guardandomi intorno ho però smarrito l’illusione di un giornalismo indipendente».

Tuo padre, il medico Alvise Cherubini, a Jesi era molto conosciuto: ti ha appoggiato nelle tue scelte professionali oppure il mondo della carta stampata lo convinceva poco? Cosa ti ha insegnato che ti accompagna ancora oggi?

«Non era affatto persuaso. Voleva che non perdessi tempo con il giornalismo e mi affrettassi a laurearmi in Giurisprudenza. Ci ho messo un po’ più del previsto, ma alla fine ho conciliato entrambe le cose. I suoi insegnamenti? Tanta roba. Un esempio monumentale, rispetto al quale mi sento molto piccolo».

C’è un giornalista a cui ti ispiri? Come è cambiato, secondo te, il modo di fare informazione nel tempo? Mi riferisco soprattutto all’avvento delle testate online: un bene o un male?

«Montanelli su tutti. Decisamente di un altro livello. Non oso immaginare come guarderebbe oggi il modo di fare informazione. Che non è semplicemente cambiato, è stato totalmente stravolto. E in peggio. Ricordo Sergio Lepri, il direttore dell’Ansa per antonomasia, ad una lezione di giornalismo: al nuovo assunto – raccontava – dico sempre che non mi interessa la sua opinione politica e soprattutto non voglio capirla leggendo i suoi articoli. Oggi coloro che riescono a non far trasparire la propria appartenenza si contano sulle dita di una mano. Relativamente alle testate on line: certamente un bene, perché ampliano l’informazione. Attenzione però alla regola fondamentale: la verità, attingendo da fonti certe e non dal sentito dire. Parto da un presupposto: una volta c’era lo scemo del villaggio e tutti sapevano chi fosse, non badando a quello che diceva. Nel villaggio globale di Internet e dei social lo scemo non riesci più ad identificarlo. E le idiozie spacciate per verità si sprecano. Per questo i giornali on line hanno una funzione fondamentale: raccontare i fatti attingendo a fonti certe».

Hai collaborato, tra gli altri, con il Sole 24 Ore, il Corriere Adriatico, la Gazzetta di Ancona, il Gruppo L’Espresso, La Gazzetta dello Sport, numerose aziende pubbliche e private. Quale esperienza ti ricordi con più soddisfazione e perché?

«La Gazzetta di Ancona, il mio primo giornale, è un ricordo indelebile. La firma in prima pagina su La Gazzetta dello Sport, per richiamare un articolo interno sulla scherma, non ha prezzo».

Hai curato e gestito uffici stampa di enti pubblici e imprese per manifestazioni, convegni ed eventi di ogni tipo. Quanto è importante, specialmente oggi, una buona comunicazione aziendale?

«Fondamentale. Puoi organizzare la migliore iniziativa al mondo, ma se non sai comunicarla in maniera efficace perde inevitabilmente di valore. Oggi vi sono tanti strumenti per comunicare, a partire dai social. Si tratta di gestirli in maniera appropriata, ricordando sempre che ogni strumento di comunicazione ha un linguaggio proprio ed un messaggio da trasmettere tenendo presente lo specifico target di riferimento. Il confronto con i miei tre figli sui nuovi strumenti di comunicazione è un costante stimolo per capire come sta cambiando il mondo».

Dal 1993 sei responsabile dell’ufficio stampa del Comune di Jesi e dal 2013 portavoce del sindaco. Insomma, hai passato una vita nelle istituzioni. Un aggettivo (o un ricordo) per ogni sindaco con cui hai lavorato.

«Ho iniziato con Ernesto Girolimini, troppo giovane ero allora e troppo poco tempo siamo stati insieme per un giudizio, anche se lo ricordo sempre con particolare affetto. Poi 8 anni al fianco di Marco Polita, 10 di Fabiano Belcecchi e finora 8 con Massimo Bacci. Con ciascuno si è creata una empatia speciale, fondamentale per interpretare al meglio ciò che volevano comunicare. Aggettivi? Polita era iperattivo e sempre attento alla comunicazione. Non avevo bisogno della sveglia la mattina, c’era puntuale la sua telefonata per darmi nuovi spunti su cui preparare comunicati stampa. Belcecchi molto più riflessivo e ponderato, non amava le luci della ribalta e non ne faceva mistero. Bacci un pragmatico, con lui le chiacchiere stanno a zero: contano i fatti. Tre uomini diversi l’uno dall’altro, tre persone verso le quali nutro profonda gratitudine per avermi consentito di svolgere la mia attività di comunicazione ed informazione senza pressioni né distorsioni».

Come è cambiata Jesi da quando sei entrato in Comune e hai iniziato ad osservarla da vicino?

«Profondamente. E credo – a differenza di chi sentenzia che si stava meglio quando si stava peggio – che nell’adeguarsi ai tempi Jesi sia cresciuta decisamente in maniera migliore rispetto alle altre città che ci stanno intorno. E sotto tanti aspetti. Le criticità, come ovunque, non mancano. Ma c’è ancora un senso di comunità e di coesione sociale che altrove se lo sognano».

Hai conosciuto tantissimi personaggi famosi. C’è qualcuno di cui ti rammenti in modo speciale?

«Roberto Benigni. Una bellissima persona sotto tutti i punti di vista».

Finiamo con il sorriso: l’aneddoto più divertente che ti è capitato in tanti anni di lavoro.

«Waiblingen, estate 1996: accompagno per avviare il gemellaggio un assessore, che tra l’altro considero tra i migliori che Jesi abbia avuto. Con noi un rappresentante degli albergatori che parlava più lingue. L’interprete del sindaco di Waiblingen chiede al nostro assessore se conosce il tedesco. Alla risposta negativa replica che il suo sindaco parla anche bene l’inglese ed il francese. Il nostro assessore confessa che parla solo l’italiano. Breve scambio di battute tra interprete e sindaco. Chiedo al rappresentante dell’albergatore che era accanto a me cosa si fossero detti. E lui: niente di che, l’interprete gli ha confidato che il tuo assessore non conosce una lingua straniera ed il sindaco si è semplicemente domandato: ma con chi diamine ci stiamo gemellando?».

Il nome dell’assessore?

«Neanche sotto tortura!».

 

Gioia Morici

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