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Jesi

SPECCHIO CORTESE A TU PER TU CON…FRANCO (ZIZZO) MORICI

A Tu per Tu per raccontare il proprio mestiere, le passioni, i sogni davanti al taccuino che per l’occasione diventa uno Specchio Cortese

 

 

Intervista di Gioia Morici

 

 

 

 

A TU PER TU CON…FRANCO (ZIZZO) MORICI

Franco Morici

Io non canto ma decanto con la rima e con il metro, appartengo, e me ne vanto, al rione de San Pietro.

Non poteva che cominciare che con questi versi la chiacchierata con mio padre, Franco Morici, per gli amici Zizzo, sanpietrino doc, che ho il piacere di intervistare in qualità di volto noto di Jesi.

San Pietro è l’anima verace della mia città, ai miei tempi era il rione dei poretti, della gente buona e umile, sono onorato di essere nato lì.

Infanzia e adolescenza a Jesi ma poi il grande salto a Roma.

Sì, a vent’anni, dopo il liceo, ho fatto il provino all’Accademia d’Arte Drammatica e sono stato preso al Centro Sperimentale di Cinematografia dove poi mi sono diplomato. Tra i miei insegnanti c’erano Andrea Camilleri, Orazio Costa, Elena Da Venezia. Sono stato fin da ragazzo un animale da palcoscenico e riuscivo a strappare una risata persino al burbero Camilleri che, nelle pause tra una lezione e l’al-tra, mi stuzzicava: “Marchigiano vieni qua, pensaci tu, adesso facci ridere”. E io non mi facevo pregare e cantavo gli stornelli in dialetto: “Oggi n’ettaro de tèra costa più de ‘na miniera…”.

Di fronte a tutti?

Sì. In classe con me c’erano Marco Bellocchio, Stefano Satta Flores, Paola Pitagora, Raffaella Carrà. Poi appena diplomato sono stato subito chiamato per film importanti: Totòtruffa 62, Le Fate con Monica Vitti, La battaglia di Algeri di Pontecorvo, I due parà e Operazione Luna con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia, Tutti a casa con Alberto Sordi.

Di Totò cosa ricordi?

Ricordo che prima delle riprese l’aiutoregista mi ha portato da lui per farmelo conoscere. Ero intimorito anche perché sapevo che non gradiva attori sconosciuti, specie se non partenopei, così quando mi sono presentato per darmi coraggio gli ho detto: “Maestro, mi sono appena diplomato al Centro Sperimentale col massimo dei voti”. Lui mi ha guardato da sotto ai grandi occhiali neri e mi ha risposto: “Sì, vabbè, ma…sapete recitare?”. E io: “Prometto che ce la metterò tutta”. Ho strappato un sorriso anche a lui.

E del film con Sordi che ricordi hai?

Abbiamo girato un mese a Livorno, io facevo il luogotenente e a un certo punto il regista, Comencini, ci ha spiegato che dovevamo girare una scena sotto a un tunnel in cui uno di noi doveva fare una grossa pernacchia a Sordi. Quindi ci ha chiesto: “Chi la sa fare?”. Capirai, io so’ de giù San Pietro, non so’ fa’ le pernacchie?! Ho detto subito “Io! io!”.

Se lo sapesse Valeria Moriconi…

Una grande amica. Ai tempi dell’accademia mi volle con lei per fare I Miserabili a Napoli.

Ma come è nata la passione per la recitazione?

Da ragazzo casualmente ho accompagnato un amico a casa del celebre poeta jesino Martin Calandra. Lui era cieco e ha voluto che gli leggessi alcuni versi suoi. Gli è piaciuta moltissimo la sonorità del mio dialetto, il modo in cui davo vita alle sue parole. Allora ho iniziato a girare per lui l’Italia nei vari concorsi letterari, recitavo le sue cose. In quegli anni ho conosciuto Lello Longhi, brillante scritto-re e commediografo jesino. Devo ringraziarlo due volte: per avermi permesso, di ritorno dalla capitale, di dirigere per tanti anni la sua compagnia teatrale, portando sul palcoscenico le sue opere, e per avermi fatto conoscere nel lontano 1958, proprio durante la messa in scena di una sua commedia, Ha da rivà Serafì, sua figlia Lea, che poi è diventata mia moglie.

Proprio per amore hai rinunciato alla carriera nazionale.

Dopo diversi anni a Roma sono tornato a Jesi, mi sono sposato e con la famiglia ho preso un’altra strada: ho fatto l’allenatore di calcio e l’insegnante di ginnastica per tantissimi anni, praticamente ho fatto giocare a pallone intere generazioni di jesini. Credo di aver lasciato un buon ricordo a tutti i miei ragazzi, ne sono felice.

Nessun rimpianto?

No, perché poi per la mia città, che amo, ho avuto il piacere di fare qualcosa di unico e speciale: ho recitato la jesinità. E questo mi riempie il cuore.

Gioia Morici

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