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Ucraina «La pace è una questione politica»

Spetta a noi la creazione dell’architettura del nuovo mondo, favorendo l’incontro tra le civiltà e riducendo i pericoli di conflitto

di Filippo Bartolucci

Jesi, 26 febbraio 2023 – Ad un anno dallo scoppio della guerra in Ucraina, nasce la mia riflessione. Nel 1992, tre anni dopo il crollo del Muro di Berlino (9 novembre 1989) e un anno dopo il suicidio dell’Unione Sovietica (25 dicembre 1991), Francis Fukuyama, politologo statunitense, scrisse un famoso saggio dal titolo La fine della storia e l’ultimo uomo: l’idea, in sostanza, era che l’esito della guerra fredda e il crollo del comunismo avessero portato con sé la fine della politica e delle ideologie. Finis historiae.


Capita spesso, però, che la storia corregga il corso degli eventi. Il 24 febbraio 2022, trent’anni dopo la pubblicazione del saggio, con il conflitto russo – ucraino, ci siamo resi conto che la storia non è finita. O meglio: è crollata la concezione della fine della storia.

La manifestazione per la pace a Jesi


Questa crisi assume, per varie ragioni, un significato costituente, nel senso che è destinata a incidere sul nuovo ordine mondiale, a fissarne i fondamenti, a ridefinire le relazioni reciproche tra grandi aree geopolitiche. Papa Francesco non sbaglia quando afferma che questa sarà una guerra lunga e lacerante, dato che vi sono coinvolte molte mani e molti interessi.


«Non siamo in guerra con la Russia», dicono il Presidente degli Stati Uniti, il Presidente della Francia e il Segretario della Nato. Il primo mentre annuncia di inviare carri armati Abrams; il secondo dopo aver dichiarato la disponibilità all’invio di missili; e il terzo mentre ha mostrato la disponibilità all’invio di nuovi tank. Dunque, la questione dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato è stata rovesciata: è la Nato ad essere entrata in Ucraina.


Nonostante l’articolo 11 della nostra Costituzione ci inviti a contribuire con mezzi pacifici a risolvere le controversie internazionali, ad ora, da parte nostra, non vi è stato nessun tentativo di mediazione. Anzi!


Si tratta di uno scenario inquietante dal quale si può uscire in due modi: o con un negoziato o con una guerra totale. Non penso che la seconda opzione convenga all’umanità. Occorre, allora, ripristinare un’antica formula: la coesistenza pacifica. Pensare, quindi, a un accordo di sicurezza in Europa che tenga conto dell’esigenza di sicurezza di chi nella Nato non c’è. Questo è un compito che spetta alla politica!

Come spetta alla politica la creazione di strumenti e istituzioni capaci di disegnare l’architettura del nuovo mondo, favorendo l’incontro tra le civiltà e riducendo i pericoli di conflitto. È necessaria la crescita di un’Europa politica: questa è la condizione essenziale per avviare un processo democratico nel mondo.


Non è questo il messaggio che ci ha lasciato Gorbačëv? Com’è possibile che le sue concezioni siano state rovesciate nel suo contrario? Ha ragione Antonio Guterres, Segretario generale delle Nazioni Unite, quando dice che il mondo sta camminando, con occhi bene aperti, verso una guerra più ampia.


Mai come in questo momento appare chiaro quanto sia impegnativo il compito che ha di fronte a sé la politica e, in particolare, una sinistra riformista che non si accontenta di gestire l’esistente e di servire gli interessi dell’economia. La pace è una questione politica. Mobilitiamoci per affermarla.

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