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Cronaca

Jesi «Caro Gian Franco te ne sei andato a cercare i tuoi ideali»

«La tua stagione della vita ci ha insegnato che la cultura aiuta a interpretare il passato e ad aprirci al futuro con coraggiosa prontezza», i funerali questa mattina in Cattedrale

di Giovanni Filosa

Jesi, 2 dicembre 2022 – Stamattina in San Settimio i funerali di Gian Franco Berti, deceduto all’età di 85 anni. La cerimonia officiata da don Giuliano Fiorentini, parroco di San Giuseppe, con don Vittorio Magnanelli, parroco dei Paolotti e don Claudio Procicchiani, parroco della Cattedrale.

Oggi, caro Gianfranco, sei andato, non so dove ma lo immaginoa cercare i tuoi ideali e la tua voglia di trasmettere a ciascuno una presa di coscienza propositiva, non da sognatore idealista o visionario, nella vita della comunità. Non solo cittadina.

Quando ricordo Gian Franco Berti, ogni volta me lo trovo davanti con un profilo diverso. Come giornalista io, lui l’intervistato; come amico a cazzeggiare insieme con gli Onafifetti e a un nucleo di fancazzisti che fancazzisti non erano né sono, perché si parlava sempre di “noi come comunità”, di domani, di Jesi, di dove saremmo andati a finire.

Un Bar Casablanca, però creativo. Nell’ottobre 2017, Jesi e la sua Valle mi chiese di intervistare il dottor Berti in occasione dei suoi ottanta anni.

L’incipit dell’articolo fu:“Confessioni di un ottuagenario” ,penso sarebbe un bel titolo per l’intervista a Gianfranco Berti, presidente del Centro Studi Calamandrei, che raggiunge gli ottanta e si prepara ai secondi ottanta. 

Un genialoide atipico, di notevole cultura, che si è distinto nella vita per la sua attività di dirigente di grandi aziende ma, soprattutto, per l’angolatura dalla quale riusciva a vedere la società in generale e darle una collocazione più che azzeccata. Fa niente se condivisibile o meno.

“Sto studiando da sindaco anche se non ci crede nessuno”

Mentre sorseggiavamo un “Garibaldi” all’Imperiale, mi disse: 

«Spero siano i miei ottant’anni a darmi una visione così nera di Jesi. A 20 anni impari, a 40 fai, a 60 trasmetti. Aggiungo io: e a 80 ricominci da capo. Sto patendo lo spegnersi del “roveto ardente”, cioè della speranza di veder sorgere un’altra Jesi (perché questa è un po’ stucchevole e provincialotta), in cui dialoghino le culture, dove si incontrino la ricerca e le scienze umane. 

“Bisognerebbe ricordare alla gente che cos’è la bellezza, aiutare a riconoscerla e difenderla”: queste sono parole di Peppino Impastato nel film “I cento passi”. Bisogna investire sulla bellezza, è nella bellezza la chiave per ripartire. E pensare un futuro in armonia con il passato. Il progetto di futuro non è solo quello della manutenzione delle buche e delle erbacce».

Poi, quando ci salutammo, mi mandò un messaggio firmato: “the next Jesi’s Lord Major” . Capito il soggetto? Berti ha sempre concesso alla città, alla comunità, un ruolo predominante nella sua mente.

La sua ironia gli ha sempre permesso di affrontare iniziative da manager qual era sempre stato, ma nelle quali la scommessa del cosiddetto rischio d’azienda era sempre dietro l’angolo. Pubblico e privato con la Fondazione Pergolesi Spontini, poi la lunga storia d’amore con il Centro Calamandrei.

Il suo profondo senso civico, seppur talvolta irriverente e causticoera in fondo scettico. Innamorato però del suo centro storico, lui che aveva girato il mondo. Già, il Calamandrei. I ricordi nostri, degli Onafifetti, sarebbero lunghissimi.

Ho ancora presente la lettera che il presidente onorario del Calamandrei, Carlo Azeglio Ciampi, ebbe a scrivere di suo pugno al “caro Berti”, in occasione della messa in scena teatrale di “Festa Grande d’Aprile”, di Franco Antonicelli, in prima al Teatro Pergolesilettera in cui Ciampi sottolineava che: 

“quella luminosa giornata (25 aprile, ndr) sancì la ritrovata libertà dell’Italia, finalmente riunita. Riflettiamo insieme sul significato pieno di questa data, sulla portata degli eventi che essa ricorda: in quella giornata gli italiani sottoscrissero anche la scelta in favore dell’unità della Nazione; fu quasi un rinnovare tacito della volontà che altri italiani avevano espresso al termine delle lotte del Risorgimento. Per un anno l’Italia era stata spaccata in due parti; se tale condizione fosse stata condivisa dal sentimento popolare, era quella l’occasione per sancirla definitivamente. Così non fu: è bello e giusto che oggi insieme, giovani e meno giovani, siate riuniti per ricordare, per riflettere, per guardare avanti”. 

A parte gli spettacoli e le idee costruite, alcune anche insieme, oltre a quelli ricordati in un post di ieri, non posso tralasciare, e mi scuso, lo straordinario progetto e spettacolo “Parolepotere“, un secolo e mezzo di storia dei vinti per la regia di Simone Guerro, “Un Gramsci mai visto” con Angelo D’Orsi e il Canzoniere dell’Anpi di Leonardo Lasca, il film “Alla fine della nuvola”, in cui recitò anche D’Orsi, per la profonda regia di Federica Biondi. 

Ecco, vedi, non mi fermerei più. 


E mi scuso se, nel frastuono odierno, ho dimenticato qualcuno. Spero che la gente capisca chi ha perso, che stia vicina ai suoi familiari, spero la Città se ne renda conto. 
Caro Gian Franco, la tua stagione della vita ci ha insegnato che la cultura aiuta ad interpretare il passato e ad aprirci al futuro con coraggiosa prontezza”.

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