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Cronaca

Jesi Raccolta fondi chiesa di San Marco, partecipazione è amore

Il punto centrale è fare innamorare la comunità di un suo capitale, in questo caso di una chiesa del XIII secolo con tutti i suoi valori storici e artistici, contribuendo a raggiungere la somma necessaria per la progettazione del restauro

di Vittorio Massaccesi


Jesi – Che vuol dire partecipare ad una conferenza, ad un pranzo, ad un incontro, ad una gita? Il significato etimologico è molto semplice: prender parte, prendere qualche cosa anche io di quella realtà presso cui ho scelto di andare. Ma se partecipo vuol dire che, in qualche modo, quella presenza mi interessa, vuol dire che amo di sapere, di vedere quegli amici, mangiare insieme con loro o con loro camminare divertendoci o ragionando.

E’ una delle versioni dell’amore che durante tutta la nostra vita si presenta in mille sfaccettature. La bella partecipazione, la settimana scorsa, all’assemblea cittadina durante la quale si sono considerati vari aspetti della chiesa di san Marco, è espressione da parte dei presenti di amore per quella realtà, per quei temi che la chiesa suscita nella comunità. Ne è conferma la stessa ricca partecipazione al dibattito.

Mi viene allora naturale trovare una risposta ad una cara amica che, proprio in quel pomeriggio, mi chiedeva: «C’è proprio bisogno fare questa raccolta di fondi quando, anche per il progetto previsto, potrebbe intervenire direttamente il Comune?».

Il punto centrale di questa raccolta fondi (prevista dalla legge e già promossa in diverse città) è proprio questo: fare innamorare la comunità di un suo capitale. In questo caso di una chiesa del XIII secolo con tutti i suoi valori storici e artistici che abbiamo riascoltato, a volo d’uccello, anche la settimana scorsa.

Chiedere “partecipazione” vuol dire aiutare ad innamorarsi di quella chiesa. Non ti innamori della montagna se non la frequenti né della musica o del teatro se li ignori costantemente. Se non li “partecipi”. Fare una vera colletta alla quale partecipi il maggior numero possibile di cittadini, vuol dire chiedere un modesto sacrificio rinunciando a qualche euro per “prender parte, partem capere”, cioè fare veramente proprio, moralmente e psicologicamente, un nostro piccolo pezzo di storia, di valore, di ricchezza.

Sentirmi protagonista, anche se nel poco, della manutenzione di un’opera di valore lasciataci dai nostri padri, un’opera che noi dobbiamo poter donare, ancora sana e bella, ai nostri figli e ai posteri in genere.

Certo che il Comune potrebbe, con le nostre tasse, fare quello che stiamo facendo noi. Ma qui si tratta semplicemente di richiamare l’attenzione su un fatto particolare di cui la comunità jesina dovrebbe prender coscienza il più possibile. Ed abbiamo escogitato quanto la legge stessa ci suggerisce.

La differenza che faccia il Comune o facciamo noi è rilevante: nel primo caso siamo dei passivi e magari non ci accorgiamo nemmeno del problema, nel secondo caso siamo stimolati a prender coscienza di una realtà rilevante, nel rispetto del volontariato e della spontaneità. Nessuno è obbligato mentre le tasse sono un obbligo sociale per tutti. È la volontarietà, la partecipazione spontanea che fa premio sulla delega al Comune.

Mi auguro di cuore che siano tanti i cittadini che partecipano, magari con lo spirito di cui parla il vangelo quando una vedova, povera, trova il modo di partecipare per aiutare altra persona con il dono spontaneo di due monetine. Certo, questo non giustifica che chi può, si limiti alle due monetine.

Una bella iniziativa è quella di alcune associazioni che promuovono incontri per una raccolta da fare proprio in nome della loro associazione. Senza dire che il sindaco, gli assessori, i consiglieri comunali avranno anche il modo di “giocare” con la loro indennità.
Buona partecipazione a tutti.

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