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1 Maggio Il lavoro un bene pieno di senso per la vita

E’ diventato peso, condanna, ingiusta fatica, eppure è stato gioia, creatività, realizzazione personale, benessere collettivo, fonte di dignità della persona: nel tempo gli abbiamo fatto crescere intorno tanta erbaccia

Il lavoro è in crisi. Non è la prima volta. Di «fine del lavoro» se ne discuteva già il secolo scorso, oggi si teme che stia per scomparire a causa dei robot e dell’intelligenza artificiale.

La storia insegna però che l’innovazione ha sempre generato fenomeni di disoccupazione tecnologica ma anche nuovi lavori. Preoccupa maggiormente la natura di questa crisi che è di senso e significato.

La grande fuga dal lavoro, livelli di motivazione dei lavoratori ai minimi, la difficoltà che le aziende incontrano nel trovare persone disponibili ad essere impiegate, la corsa al pensionamento, sono tutti fenomeni che segnalano la stessa cosa: il lavoro non è più considerato un bene o una «grazia di Dio», come ci dicevano i nostri nonni e genitori, ma qualcosa da cui fuggire per cercare altro.

Che succede? Cosa fa allontanare giovani e meno giovani dal lavoro? Perché il fascino che ha emanato su generazioni e generazioni sta venendo meno?

Stiamo raccogliendo forse i frutti della semina fatta nei decenni scorsi quando abbiamo concorso a deturpare il senso del lavoro, trasformandolo da benedizione a minaccia per la vita e ostacolo insopportabile per la nostra libertà, un impegno senza senso. Il lavoro cosi è diventato peso, condanna, ingiusta fatica. Eppure il lavoro è stato gioia, creatività, realizzazione personale, benessere collettivo, fonte di dignità della persona.

Com’è possibile che il lavoro e le sue virtù si siano trasformati in sofferenza e in una condizione nella quale fare esperienza di vizi?

«ll lavoro mi sta facendo a pezzi», è il lamento di molti. «Devo trovare il modo di uscire, il lavoro è diventato un inferno», è l’obiettivo di altri. Soffrire a causa del lavoro è davvero inconcepibile, soprattutto per un ordinamento come la nostra Repubblica che è fondato su di esso. Attorno al lavoro, nel tempo, abbiamo fatto crescere tanta erbaccia. Forse non ce ne siamo resi conto. Ora bisogna toglierla per aiutare le persone a ritornare a guardarlo come un bene pieno di «senso» per la vita.

Il lavoro va rigenerato in tutti i luoghi sociali ed educativi capaci di illuminare le virtù per recuperare il suo significato più profondo.

Buon primo maggio.

Gabriele Gabrielli

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