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Festival Federico II modello laico nei rapporti con altre fedi e altre culture

Dalle Marche alla Sicilia e fino in Terra Santa, studiosi a confronto sulla politica di governo dello Stupor Mundi, tra tolleranza e “ragion di Stato”

Ancona – Il professor Franco Cardini, principe dei medievisti italiani, e il professor Ortensio Zecchino, artefice dell’Enciclopedia Federiciana Treccani ed ex ministro, hanno animato ieri la terza giornata del Festival “Federico II – Stupor Mundi” che si svolge alla Mole Vanvitelliana di Ancona fino a oggi, domenica (una seconda sessione è già in programma a Jesi dal 9 all’11 maggio).

Il tema della giornata era incentrato sulla figura di Federico II e al suo rapporto con la Chiesa e con le altre confessioni religiose, in particolare l’Islam e l’Ebraismo, anche alla luce di quanto sta accadendo in alcune parti del mondo, sconvolte dalla guerra.

Il professor Cardini ha voluto ricordare che «la storia è per noi una sorta di coscienza trasversale, diacronica del nostro essere, userò un termine abusato: è un termometro della nostra identità. È importante soprattutto in questo periodo che, come ha detto Papa Francesco, non è un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca».

Secondo Cardini trenta anni fa «sembrava definito l’assetto del mondo, con l’egemonia statunitense e del dollaro, ma nulla è definito e nella storia non c’è nulla di definitivo. Sembrava che tutto quello che era importante fosse accaduto e che si uscisse dal tempo, che fosse finita la storia e servisse solo amministrare il presente. Abbiamo scoperto che non è così e nell’ultimo trentennio tutto è cambiato e tutto è tornato in gioco».

Nella storia, quindi, «non c’è mai nulla di sicuro e fermo, perché nella storia ci si vive, se noi dimentichiamo la storia, essa non si dimentica di noi. Gran parte dei nostri guai, detto eufemisticamente, dipende dal fatto che nel passato recente qualcuno si è dimenticato della storia».

Il professor Ortensio Zecchino ha sottolineato che quella di Federico e delle Chiesa è «l’eterna storia di conflitto tra azione e coscienza politica e azione e coscienza morale, come scrisse Croce, che non avrà mai un vincitore. Di questa lotta la vicenda federiciana è un tassello di estrema importanza sia per la statura dei personaggi sia per le questioni che furono poste sul tappeto – ha detto Zecchino –. Federico II fu apripista di questo tentativo di laicizzazione e di autonomia del potere temporale. Da imperatore ne uscì sconfitto, ma come re ha aperto la via allo svincolo dell’autorità politica da quella religiosa, così come sarà teorizzata dei pensatori del ‘700».

Quanto al rapporto con gli ebrei e i musulmani Federico II è «a un tempo principe cristianissimo e non poteva essere totalmente neutrale, ma aveva una visione di tolleranza molto ampia, almeno finché questa non confliggeva con la ragione di Stato – ha raccontato l’ex ministro -. La laicità di Federico II è diversa da quella attuale e va inquadrata, comunque, all’interno di una fede professata che innerva tutta la società. Federico era colto e raffinato, ma spietato quando doveva punire chi attentava al re o al suo potere. Quindi, non bisogna stupirsi quando nel 1221 promulga un corpo di leggi a Messina che impone un segno distintivo celeste e la barba per rendere riconoscibili gli ebrei. Però estende a essi anche il diritto di appellarsi al re per ottenere giustizia. Oppure quando salva la loro attività di prestito, fissando un limite all’usura del 10% annuo. O ancora quando smonta la leggenda del sacrificio rituale di innocenti per le cerimonie pasquali degli ebrei a Fulda, incaricando dei convertiti di trovare tracce di questi riti nella tradizione ebraica. Dei quali riti non v’è traccia. In conclusione Federico II vive nell’età medievale e si comporta come uomo del Medioevo, però aperto alla modernità».

Il professor Fulvio Delle Donne, nel ribadire le motivazioni alla base delle scelta di valorizzare Federico II, oltre agli anniversari della nascita e della fondazione dell’Università di Napoli, ha voluto sottolineare che «il passato è la nostra memoria e parlare di Federico II a otto secoli dalla sua nascita ci permette di affrontare temi attuali e di capire il presente».

Quasi profetico il suo riferimento, alla luce del tema della pace che anima le giornate anconetane del Festival, al «capire le radici lontane di fatti» che «rivivono, cambiati, nel presente» con quanto sta accadendo in Palestina, Israele e Iran.

Parlando di convivenze culturali, etniche e religiose, il professor Delle Donne ha ricordato come nella storia sia accaduto di creare dei nemici, inventarseli, laddove prima non era così. La Sicilia normanna era un modello di convivenza, descritto anche nelle miniatura di un manoscritto di Pietro da Eboli, dove notai musulmani, latini e greci lavorano assieme, oppure medici e astologi arabi si trovano al capezzale del re Guglielmo morente.

«Ricordiamo che nel 1130 Ruggero II si fa incoronare re di Sicilia e assicura protezione a tutti i suoi sudditi, che siano ebrei, musulmani e greci che sono divenuti anche scismatici. Questo attesta che le diversità non venivano percepite come qualcosa di strano».

La situazione cambia pochi anno dopo, quando «nel 1215 viene sancita per la prima volta la distinzione visiva dei non cristiani, imponendo agli ebrei di indossare un panno ceruleo – ha ricordato il professor Delle Donne –. Federico II in questo è un uomo del suo tempo, introducendo questo obbligo, ma al contempo adoperandosi affinché i suoi sudditi siano tutti uguali quando si appellano a lui».

La diversità è stata raccontata dal professor Fulvio Delle Donne anche attraverso alcuni episodi della corte di Federico II. In un primo episodio si racconta di come Federico, in un banchetto, avesse fatto allietare gli ospiti con due giovani danzatrici arabe che si esibirono in piedi su delle palle, suonando i cembali, suscitando molta ammirazione. Il secondo episodio, di chiara marca anti federiciana, racconta di un banchetto in onore di notabili saraceni, durante il quale fece danzare delle donne cristiane, le quali furono poi concesse agli ospiti, suscitando lo sdegno del cronista.

Dei rapporti con la chiesa diocesana e gli ordini monastici si è occupato il professor Francesco Panarelli, il quale ha parlato di «una situazione molto complessa perché Federico II era re e imperatore: in Germania c’erano ancora gli echi della lotta per le investiture, quindi trova un accordo con la chiesa tedesca e i vari principi e nobili. Nel regno di Sicilia, invece, raccoglie l’eredità normanna che aveva il controllo delle istituzioni vescovili e monastiche. Eredita anche il conflitto che va crescendo con il Papato. L’azione di Federico II, quindi, si fa pervasiva nelle istituzioni del Mezzogiorno, con una originalità che non ha pari altrove: tiene fede al suo ruolo di sovrano cristiano che deve proteggere la Chiesa nel suo regno, ma che non disdegna di controllare, anche quando è scomunicato».

Il professor Francesco Paolo Tocco si è soffermato sulla pacificazione della Sicilia, che «è bene ricordare fu drastica. Quando Federico II è in Sicilia, da bambino, non trova quel giardino di cui si parla: assomiglia alla vigna di Renzo Tramaglino, incolta e abbandonata. Quando torna da imperatore ritiene opportuno riportare tutto a come era molti anni prima, riportando i villani nelle terre da cui erano fuggiti, soprattutto musulmani. Questo è impossibile, scoppia la guerra e fa deportare i saraceni a Lucera».

«L’imperatore non si fa scrupolo di promettere il perdono ai messinesi che si sono ribellati dopo aver revocato diversi privilegi. Entra in città e punisce i capi con ferocia. Il rancore dei siciliani, quindi, cova e scoppia contro Carlo d’Angio che aveva replicato le politiche di Federico II nel Vespro siciliano, mentre Pietro d’Aragona saprà mediare».

Del rapporto tra Federico II e la Marca Anconetana ha parlato Francesco Pirani, ricordando come si sia trattato di un «rapporto complesso perché la Marca apparteneva al Regno d’Italia, quindi a Federico II, ma anche alla Chiesa».

Si tratta di anni convulsi, con frequenti cambi di alleanze in un territorio pieno di medie e piccole città, signorie e castelli.

Di Marche e Federico II ha parlato anche il consigliere regionale Carlo Ciccioli, promotore della legge regionale di valorizzazione della memoria dell’imperatore.

Secondo Ciccioli «nelle Marche siamo orgogliosi dei personaggi come Leopardi, Rossini, Pergolesi, Raffaello, Gentile da Fabriano, mentre Federico II è come se fosse stato tenuto in un piano meno noto. Abbiamo iniziato un percorso in occasione degli 830 anni dalla nascita e gli 800 anni dalla fondazione dell’Università di Napoli. Abbiamo gettato un seme che speriamo farà germogliare una pianta».

La sessione si è conclusa con la lezione -spettacolo di Alessando Vanoli che ha raccontato il «Mediterraneo dell’epoca federiciana. Un luogo estremamente complesso perché trascina in sé spinte che arrivano da molto lontano. Se fosse come uno di quei falchi che tanto amava, se potesse volare sufficientemente in alto, potrebbe vedere le grandi rotte e le vie di terra e mare che si intersecano nel Mediterraneo, si scoprirebbe che Asia, Europa e Africa sono tutte connesse, con i mongoli che spingono da est e da nord, modificando le vie di traffico, i mercanti che trascinano merci dall’India al Mediterraneo e viceversa, con i cristiani che trovano spazi in quella rete commerciale così complessa. Sta cambiando tutto in quel Mediterraneo, diventa vasto e complesso e assieme alla complessità, inevitabilmente, diventa anche conflittuale».

(Nella foto in primo piano: Carlo Ciccioli, Fulvio Delle Donne, Franco Cardini Ortensio Zecchino)

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