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Attualità

L’ARTICOLO La vita, palestra dell’amore oblativo

Non si cammina solo per arrivare, ma anche per vivere mentre si cammina

Una carissima amica, leggendo il mio articolo su “La morte. Cifra del vivere umano”, mi ha chiesto se non fosse più opportuno, in questo tempo di prova, dire “La Vita. Cifra del morire dignitoso”. Mi ha fatto riflettere sul bisogno che ognuno di noi ha di sentirsi vivo, senza affrontare troppo da vicino il mistero della morte. E’ vero! La modalità del nostro vivere e della capacità di resilienza di fronte alle prove, può diventare la cifra della maturità umana.

Vivere… per essere pienamente se stessi

La vita è per tutti un dono e un progetto da realizzare nella realtà del proprio ambiente, negli avvenimenti del tempo e della propria cultura, nella famiglia e nel lavoro. Non si vive per chiudere un ciclo già catalogato o, come si fa con i corsi di recupero universitario, per far prendere un titolo accademico, e poi basta, o come fanno certi turisti che visitano luoghi e monumenti per constatare che è vero quello che è scritto sulle guide, e poi passano oltre, per completare il tour. Non si vive per accumulare anni e date, per avere vissuto le varie stagioni: si vive per manifestare fedeltà alla vita, e manifestarla in modo così autentico da offrirla con «slancio generoso» nel migrare degli anni e nell’avvicendamento delle esperienze.

Atteggiamenti positivi, relazioni costruttive, donazione di se stessi per progetti di vita e di futuro, costituiscono la capacità oblativa dell’uomo e della donna maturi. La nascita come la morte, le prove e le ferite, la grazia e il perdono, le potature e le fioriture, il legame coniugale, la custodia della propria interiorità e spiritualità aiuteranno ad esorcizzare l’ansia della morte e della senescenza.

È molto pericolosa una visione della giovinezza come il tempo della libertà più assoluta e del rifiuto del passato come condizione del proprio realizzarsi; ma è egualmente deleteria una rilettura esasperata «contro il deperire» della propria vitalità umana, e quindi l’affanno o la mestizia che a volte traspare nelle persone anziane. Occorre accompagnare adulti e anziani ad un processo di verifica e d’identità, che consente di cogliere nella nuova situazione un’offerta vitale inaspettata e spesso non subito decifrabile.

Vivere… per affrontare la morte come dono di sé

La morte è un passaggio che tutti, prima o poi, dobbiamo affrontare, ma è la vita che ci predispone ad una costante maturità. Ci chiede di saper perdere progressivamente riferimenti esterni, competizioni e raffronti, incrostazioni, rigidità per essere pienamente noi stessi. La vecchiaia sarà la verifica della opacità o della vivacità raggiunta. Tutto dipende dal modo di vivere: se si è andati avanti nella vita con incoscienza dissipatrice e materialismo edonistico, storditi dal molto fare e dal molto consumare, oppure si è coltivata un’interiorità vitale, attraversata da molteplici presenze, ma anche dalla fedeltà ai valori direzionali.

L’adulto può qualificarsi tale se vive nella quotidianità un atteggiamento oblativo: fare dei suoi giorni e della sua stessa vita affettiva e spirituale un dono! Altrimenti “subisce la morte come un furto — ha scritto il teologo C. Molari — che gli sottrae le cose che egli ritiene sue. In realtà nulla appartiene all’uomo se non il suo nome, quello che fissa la sua identità definitiva: il nome scritto nei cieli (cf. Luca 10,20). Ma questa disposizione non si acquisisce se non attraverso l’esercizio di un amore gratuito e disinteressato. La morte chiede ad ogni uomo di aver imparato ad amare al punto da non trattenere nulla per sé, neppure il proprio corpo, e da sapere, quindi, consegnare tutto. L’esistenza perciò è palestra per imparare ad amare in modo così oblativo da diventare capaci, nella morte, di offrire senza riserve ciò che la vita ci aveva consegnato perché diventassimo definitivamente viventi” (C. MOLARI, “Mezzi per lo sviluppo spirituale“).

Vivere… per comporre “nuove melodie” sino alla fine

Ogni giorno può essere il tempo di ideali infranti, di nuove melodie da comporre e strimpellare, da cantare e assimilare. Come direbbe Goethe, non si cammina solo per arrivare, ma anche per vivere mentre si cammina: e ogni stagione della vita ha delle risorse originali che bisogna cogliere per se stesse, mettere in gioco come elementi indispensabili di una paradigma da realizzare. Ogni momento della vita ha i suoi rituali espressivi. (cf. A. Grun, “I rituali della vita“).

La società sembra aver smarrito il senso del mistero e della originalità che ogni persona porta in sé, perché la vita è più spesso manipolata e gestita da altri.

«Molte persone oggi si muovono entro un orizzonte conoscitivo privo di quegli spiragli verso la trascendenza che aprono la strada alla fede» aveva detto Giovanni Paolo II ai vescovi europei. Questo tempo di pandemia covid ci sta interrogando sugli orizzonti di vita da desiderare, realizzare e progettare. Con quale vitalità, con quale energia interiore e non solo economica possiamo preparare il
futuro della nostra società?

Occorre preparare “nuove melodie di vita”, come canta Rabindranath Tagore:

Credevo che il mio viaggio fosse giunto alla fine,
all’estremo delle mie forze, che la via davanti a me fosse
sbarrata, che le provviste fossero finite e fosse giunta l’ora
di ritirarmi nel silenzio e nell’oscurità.

Ma ho scoperto che la tua volontà non conosce fine per
me. E quando le vecchie parole sono morte, nuove melodie
sgorgano dal cuore; dove i vecchi sentieri sono perduti,
appare un nuovo paese meraviglioso.

Papa Francesco ci ricorda molto spesso che “gli anziani e i nonni, sono il “noi” che fa rinascere l’umanità”. Proprio perché la vita possiede la sua dinamicità e imprevedibilità creativa sino alla fine. Un dono per tutti l’aver istituito per il mese di luglio la Giornata mondiale dei nonni e degli anziani.

Anna Maria Vissani

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