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Ricette per il sorriso

COTTO&MANGIATO LA RUBRICA DI GIOIA MORICI

HAI VOLUTO LA BICICLETTA?

(Cotto e Mangiato Rewind – replica del 3/7/2016)

 

I ciclisti d’estate. Parliamone. Questo stormo fuori controllo di maschi attempati, bardati in tutine di nailon improbabili, che pedalano completamente ignari della ristrettezza delle carreggiate italiane, a qualunque ora del giorno e della sera, e parlottano tra loro come fossero seduti al tavolino di un bar a farsi un thè alla pesca. Come dobbiamo comportarci?  Accostiamo e chiediamo loro amabilmente: “Amici, orsù, potete farvi un poco meno da presso?” oppure li stiriamo senza pietà sotto le ruote della macchina? Ecco, carissimi, io oggi vorrei capire assieme a voi, come fossimo a una puntata di Superquark di Piero Angela, “l’animale” ciclista. Intanto poniamoci il primo, grande, basilare quesito: PERCHÉ?? Eh già, perché tu, ciclista, decidi di diventare ciclista? Cosa ti spinge all’amore per la pedalata? Da bambino eri fan di Gino Bartali? Ti fa schifo la vita e il tuo obiettivo è farti cogliere da un embolo sulle salite di montagna? Oppure hai il menisco rotto e pedalare è l’unico sport che ti è rimasto per fuggire da tua moglie la domenica mattina? Ma soprattutto: perché in bicicletta non ci vai da solo ma giri in gruppi spappardellati a cazzo di cane in mezzo alla strada? Ti senti pienamente te stesso solo se qualcuno ti manda a fanculo? Tutti interrogativi che, cari lettori, rimarranno senza risposta, non perché sia arduo trovarla, ma perché non c’è una risposta. La verità è che manco il ciclista lo sa quello che sta facendo! Il Fausto Coppi de noialtri è istinto allo stato puro. Lui si materializza dietro la curva e, semplicemente, esiste, facendo il cavolo che gli pare. Non tiene conto di dove, come, quando e perché. È libertà assoluta. Un flusso di incoscienza che fluttua. Ondeggia. Migra. Con il suo bel caschetto a uovo di quaglia multicolor, Fausto va. Nella vita per lui non è importante mangiare, respirare, trombare. No. Nella sua vita l’imperativo è uno solo: pedalare. Pedalare come spostarsi. Muoversi verso qualcosa. Aprire traiettorie. Farsi varco. Proiettarsi. Raggiungere un punto “in avanti”. Ecco, tenetelo ben presente: il ciclista è avanti. Avanti nei campi. Avanti sulla statale. Avanti tra i sentieri co’ la breccia. Avanti ai camion. Avanti popolo. Avanti un altro. È sempre lì davanti, cazzo! E io, per questo, ti ammiro, ciclista. Ti ammiro perché sei un maschio concentrato perfettamente su di te, sul presente, alla faccia nostra. Non c’è ieri, oggi, domani. Non esiste mondo attorno. Ci sei solo tu, in un meraviglioso agglomerato di energia cosmica che confluisce tutto nel tuo piedino santo. A mezzogiorno del 3 di luglio nel pieno dell’andropausa potresti startene comodamente a casa a giocare a briscola con tuo cognato. E invece no: tu decidi di plasmare i gioielli di famiglia su un mini sellino di marmo che punta dritto verso nord. E sei felice per questo. A noi i coglioni schiacciati ci sfrangono l’umore, per te la palla ammaccata è fonte di soddisfazione. Vedi, tante volte, la meravigliosa ecletticità della vita?? Ecco, a proposito di stupore e ciclismo: l’altra mattina intorno alle 8 ero al bar che aspettavo la mia dose di caffeina per tornare alla stato di coscienza e sento uno strano picchiettio. Non faccio in tempo a pensare “ma chi c’è, Fred Astaire?”, che scorgo ‘sto tipo sulla cinquantina così agghindato: scarpina da biker viola con tacchetti de ferro, calzini di spugna color salmone, pantaloncini neri con conchiglione proteggi-pacco e magliettina fucsia su vigorosa panza a sbluso. Il caschetto da quaglia non se l’è neanche tolto e con la faccia ancora paonazza dallo sforzo atletico appena concluso ha ordinato cappuccio e cornetto. Poi si è sistemato proprio vicino a me, che la mattina non riesco neanche a dire “cazzo”, pensate un po’ se potevo reggere ‘sta scena. E, ve lo giuro, ho cercato di far finta di niente, ma questo aveva le gocce di sudore che gli colavano dalla fronte e un’ascella pezzata che mi arrivava a intermittenza. Ma che gli dici a uno che dopo aver fatto il Giro d’Italia in groppa al suo bolide, senza manco darsi una sciacquatina, si presenta in un caffè del centro a fare colazione e si muove e parla e agisce con la stessa disinvoltura che avrebbe a casa sua??  Niente. Non gli dici niente. E infatti io l’ho guardato e ho pensato “boh”. Giuro, solo “boh”. Poi ho capito. Ho capito che questa disinvoltura conchigliata rientra nel pianeta “maschio” che io devo amare a prescindere. A prescindere, senza necessariamente capire. Anzi, forse questo pianeta io lo amo proprio perché non lo capisco. Quindi vorrei dire alla mia maestra Marilena, che da piccola continuava a ripetermi: “Vedrai…vedrai che da grande capirai”, che io ancora non c’ho capito un cazzo. MARILE’…UN CAZZO.

Gioia Morici

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