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Ricette per il sorriso

COTTO&MANGIATO LA RUBRICA DI GIOIA MORICI

THE SHOW MUST GO ON

Ieri l’altro entra ‘sto ragazzino in ufficio e me fa “Buongiornooo”. Con la O finale abbastanza prolungata e leggermente aspirata. ‘Na fiatella, gente mia. Un pesto de aglio a crudo che a Genova se lo sognano. Tant’è che penso: “Tanto giovane e già ‘sti problemi de digestione?”. Eh già, perché c’avrà avuto, guarda, a di’ tanto, 26 anni, toh, al massimo 27. Sai com’è, al pubblico bisogna mantenere un certo à-plomb, perché, qualunque cosa accada, “de sciò mas goò”, così rispondo educatamente: “Buongiorno a lei, dica pure”. Falsa come giuda, perché, dietro il sorriso stirato, in realtà rimugino: “Speramo che non se sieda davanti a me, sennò casco giù de botto, sbatto forte la testa per terra e me portano via con l’ambulanza”. Del resto, se con un buongiorno m’ha già seccato i pori della pelle, figuriamoci se si mette a chiacchierare del più e del meno: c’è rischio che doma’ no’ la racconto. Sì, perché il più delle volte le persone mi scambiano per lo psicologo, il prete o il medico di fiducia e mi raccontano i loro fatti più intimi. Così, senza A né BA, senza un convenevole, un preliminare, anche se non c’entra niente. E che gli dico? “Guardi, che a me delle sue cose me ne frega una grandissima cippa”? Pare brutto. Ovvio che fingo interesse. Moderato, eh, sennò quelli non la finiscono più. Insomma, daje oggi daje domani, i rognosi li riconosco a prima vista. Merd-man, non ci sono dubbi, è uno di quelli che vuole chiacchierare, ma io a quest’ora del mattino a malapena collego le sinapsi motorie…immaginati se posso reggere la fiatella cadaverina a oltranza. Quindi che faccio? Nella speranza di togliermelo velocemente di torno, visto che lui temporeggia, scandisco con ostilità: “Ho detto dica, dica pure”. Ma quello, nient’affatto intimorito dal tono, sente solo il verbo “dica” e innesca una filippica che, nel giro di pochi secondi, appesta l’aria ottenebrandomi le meningi. Una roba che al confronto Chernobyl è ‘na puzzetta de ragazzini. Se ci scattassero la fotografia, si vedrebbe la mia testa completamente avvolta da una nube tossica da cui sbuca un braccio proteso in avanti che sembra prendere appunti, in verità sta gridando “pietà”. È un duello da far-west: io serro le labbra stile Enzo Maiorca nella sua migliore prestazione di apnea, Mentadent continua a parlarmi in faccia e a farmi domande. Non mi dà neanche il tempo di rispondere, così, quando vado in debito di ossigeno, mi limito a girare la testa dalla parte opposta alla sua (fingendo di aprire un cassetto o prendere una pinzapunti) e inspiro aria incontaminata per non morire asfissiata. Solo che a un certo punto il cervello mi va in overdose di anidride carbonica, la mia lucidità vacilla, perdo il filo del discorso e non so più di che stiamo parlando. La spada di re Artù? L’estinzione dei dinosauri? Il terzo segreto di Fatima? Mentre arranco nel buio di un devastante stordimento mentale, cerco di concentrarmi almeno sulle parole con cui chiude le frasi: “…se me lo dic…alla fine di novem…forse control…”. Niente, non mi basta per ricostruire il discorso. Che vorrà da me? Di che starà parlando? Come posso fuggire? All’ottavo minuto del suo monologo comincio seriamente a pensare che la mia fine è vicina. Anche perché, se non mi ammazza lui, mi suicido io. Eh sì, basta, la faccio finita, che senso ha un’esistenza senza dignità con le froce atrofizzate come Michael Jackson? Ho già chiare le mie volontà testamentarie: dono metà dei miei averi all’Associazione Italiana Viticoltori, l’altra metà alla Federazione per la Protezione del Maschio Trombaiolo e lascio la mia collezione di mutande di pizzo alla mia amica Mary, so che ne farà buon uso. Poi, quando tutto mi sembra perduto, ecco il miracolo: al tipo gli squilla il telefonino e si allontana per rispondere. Con scatto felino mi alzo dalla sedia e corro verso la finestra, la spalanco, metto fuori la testa, inalo tutta l’aria che posso, i polmoni mi fanno male, ma sono felice…prego e ringrazio il Cielo: “Grazie Signore, grazie”…mi viene da piangere. Una bora triestina entra prepotente nella stanza, saranno due gradi sotto zero, forse scende anche la pioggia ma che fa, amo la vita più che mai: io ho respirato di nuovo, io non morirò. Così, con la faccia ciondoloni tra le persiane, fisso una Panda parcheggiata all’orizzonte e non posso fare a meno di chiedermi: “Ma che cazzo ce fate co’ Masterchef se poi ve magnate i topi morti???”. La risposta, amico mio, soffia nel vento. Delle fogne.

DATEVELA ‘NA REGOLATA CON L’AGLIO, MANNAGGIALAPUTTANA.

Gioia Morici

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